8 esempi per spiegare come i FabLab reinventano i paradigmi di lavoro e formazione

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Cosa succede quando si incontrano il mondo dei FabLab con quello dell’istruzione e della formazione continua? E’ successo a Firenze nell’ambito di un seminario organizzato da Indire (Istituto Nazionale di Documentazione e Ricerca Educativa) sul tema “L’innovazione condivisa: l’esperienza dei FabLab e dell’alfabetizzazione digitale”. La giornata si inseriva in una serie di incontri per lanciare EPALE (Electronic Platform for Adult Learning in Europe), una piattaforma fortemente voluta dalla Commissione Europea interamente dedicata all’educazione degli adulti.

Credits: entrepreneur.com

Le esperienze di quattro FabLab (FaberLab Varese, FabLab Firenze, FabLab Cascina, e FabLab Roma Makers) nel coinvolgere imprese e scuole nelle loro attività, ci raccontano qualcosa di più ampio, su come queste tendenze – in termini di pratiche dell’innovazione – possano incidere sulla trasformazione dei modelli di apprendimento e formazione continua, di interazione generazionale, di professionalizzazione, e di produzione.

Questo quanto è emerso, aggregato e raccontato in pillole, senza ambizione di esaustività.

1. DAI FABLAB PASSA LA NUOVA ALFABETIZZAZIONE DIGITALE

In genere si associano i FabLab alle stampanti 3d. In realtà c’è molto di più.

I FabLab sono il luogo dove si costruiscono i ponti tra il mondo dei bit e quello degli atomi.

Il cuore di questi laboratori è la dimensione di progettazione e design computazionale, così come la trasmissione e sperimentazione delle competenze di programmazione di base per controllare gli oggetti e farli dialogare tra loro (Internet of Things) soprattutto tramite interfacce di programmazione semplificate (ad esempio Arduino).

Questo potrebbe sembrare un percorso di iniziazione piuttosto di nicchia, o per gli specialisti anche piuttosto rudimentale. Ma si pensi al potenziale di trasformazione sociale che si attiva quando un codice, detenuto da pochi, si trasforma in un linguaggio diffuso e accessibile ai più e in concrete competenze di scrittura.

Un po’ come i grandi processi di alfabetizzazione di massa avvenuti alla fine del XIX secolo.

2. L’APPRENDIMENTO NON E’ LINEARE, MA “HANDS ON”

Nel contesto del FabLab l’apprendimento è quello hands-on, che sfrutta al massimo, per trasmettere e fissare la conoscenza, fattori di percezione quali l’intensità, la novità e il movimento – a differenza della tradizionale trasmissione di informazioni frontale, orale e passivo da parte del discente. Ciò non rende possibile un’organizzazione sequenziale ordinata delle fasi di apprendimento né una gestione netta delle attività. Lo spostamento tra una fase e l’altra dell’apprendimento è personale e avviene in modalità e successioni diverse.

In questo contesto di apprendimento – e di innovazione – i problemi da risolvere non vengono necessariamente presentati per livelli di difficoltà, tanto che dalle esperienze è emerso infatti come nella risoluzione di certi problemi i ragazzi più giovani (ad esempio della prima classe delle superiori) se la sono cavata meglio dei loro colleghi delle classi successive.

La tendenza ad associare età e capacità (in termini di informazione e complessità gestibile) tipica dei sistemi di istruzione lineare viene messa in discussione (si pensi alla storia di due adolescenti come Nicole Sabina Ticea o Jack Andraka, con le loro recenti ricerche in tema, rispettivamente, di HIV e cancro al pancreas).

3. NON SERVONO TITOLI MA COMPETENZE

In un sistema di questo tipo, così come in tutti i sistemi che fanno proprio il cambiamento culturale e organizzativo proprio dalla cultura Open, quello che ha valore è quello che si sa fare, e non titoli, certificazioni, livelli.

Le competenze non sono né codificate, né certificate.

Oltre alle competenze formali sono infatti valorizzate e messe a sistema competenze informali o non-formali, normalmente sommerse o non valutate dai sistemi tradizionali.

Contemporaneamente, il valore della certificazione – intesa come riconoscimento di uno status e/o specializzazione in una singola materia o tecnica – risulta ridotto fino a poter assumere connotati anche negativi: il raggiungimento di un qualsiasi status può infatti generare atteggiamenti “conservativi” compromettendo così il potenziale di innovazione e creazione distruttiva di nuovi processi, anche se più semplici ed efficaci. In questi modelli di apprendimento e innovazione, il peso dell’iper-specializzazione e della conoscenza tecnico-specialistica viene ridimensionato, mentre la dimensione di gestione dei processi e le soft skills (es. problem solving) diventano ugualmente necessarie – in linea con il trend cognitivo che internet e l’immediata disponibilità dell’informazione stanno rafforzando.

Questo tipo di processi di innovazione e apprendimento orizzontali, diffusi e open, hanno dimostrato di intercettare bene il modus operandi del tessuto della micro-impresa e dell’artigianato – basato sul contesto familiare, sul fare e sul provare – i quali possono permettersi di sperimentare con immediati vantaggi per quanto riguarda l’economicità della tecnologia di prototipizzazione, rispetto ai costi della manifattura tradizionale.

4. SI IMPARANO TANTE COSE, AD OGNI ETA’, E CI SI CONTAMINA

La mancanza di specializzazione di fatto viene compensata dal sistema e dall’intelligenza collettiva – secondo i modelli di innovazione distribuita e open. Mondi e tradizioni di conoscenza differenti si incrociano e completano: il pensionato spiega al ragazzino l’elettronica tradizionale, mentre impara il linguaggio di programmazione di Arduino. L’osmosi e la modificazione tra le conoscenze è continua, e la dinamica di insieme spinge in modo naturale verso i margini del sistema ogni posizione troppo rigida e non in grado di integrarsi con gli altri elementi.

È un’innovazione prettamente sociale quella che avviene nei FabLab, non tanto basata sull’avanzamento della base tecnologica quanto sul riuso creativo e riassemblamento originale delle varie componenti a disposizione – il cosiddetto “tinkering”.

5. SI INVENTANO NUOVI SISTEMI PRODUTTIVI

Questa è cosa nota, ma di grande impatto sistemico. Non si stanno prototipizzando e sperimentando solo nuovi oggetti, ma un intero processo produttivo. Oltre a dare spazio in maniera fluida e immediata a processi di co-creazione e open innovation (sperimentando nuovi modi di fare innovazione), i FabLab – basandosi su una produzione customer-driven e on-demand – gettano le basi delle catene produttive e di distribuzione del futuro, basate sulle piccole serie e la domanda individuale, e che supereranno il modello di scala e di massa.

6. SI REINVENTA IL CICLO DI VITA DELLE “COSE”

Infine, è il rapporto stesso con le “cose” e gli oggetti – e con il loro ciclo di vita – che viene trasformato. Dal punto di vista culturale, l’accesso alla dimensione di “ciò che ci sta dietro”, così come alla cultura del fare e del rifare, del progettare e del programmare, nutre anche una nuova cultura della riparazione, del ri-uso e quindi della sostenibilità, in una prospettiva di continua valorizzazione e trasformazione della risorsa materiale. Nel settore delle stampanti 3D la ricerca sui materiali è un capitolo fondamentale, al fine di ridurre o perfino eliminare la generazione di rifiuti.

7. HANNO CREATO UNA NUOVA SCALA SOCIALE

Nel dibattito sull’innovazione dei modelli di istruzione ed educativi in Italia vi è stata la tendenza di scambiare l’innovazione con la digitalizzazione – così come è il caso in molti altri settori. Si è cioè parlato tanto di libri digitali e della scomparsa del cartaceo, concentrandosi sulla dematerializzazione dei supporti, come se questa costituisse un fine in sé. In una società da secoli organizzata piramidalmente secondo la contrapposizione tra intellettuale e manuale, e dove l’emancipazione dal lavoro manuale ha sempre costituito un avanzamento in termini di status sociale, si è persa cioè quasi del tutto – e soprattutto nella società industriale e post-industriale – la percezione del valore della manualità in termini di comprensione e conoscenza delle cose – attraverso, per esempio il fare e la ripetizione (su questo vi è il bellissimo libro “L’uomo artigiano” di Richard Sennett).

I contorni però sfumano sempre di più con l’ascesa di professioni dove il saper pratico e manuale deve unirsi a competenze di programmazione o, di gestione aziendale, recuperando non solo la dimensione manuale della conoscenza, ma arrivando a intaccare nelle fondamenta una piramide sociale – in termini di associazione tra tipo di professione e status sociale – in piedi da secoli.

8. NEL MONDO MAKERS NON C’E’ BISOGNO DI QUOTE ROSA

L’ultima considerazione – last but not least – è quella di genere: raccontano che nei FabLab si riscontri pari rappresentanza dei due sessi, così come pari prontezza, disponibilità ed entusiasmo da parte delle ragazze a lavorare con l’elettronica e la meccanica, a saldare e a smontare.

MARGOT BEZZI*

* esperta in politiche e programmi europei per l’innovazione. Twitter: @margotbezzi

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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