Vinta la guerra dei protocolli creammo il primo backbone europeo a dispetto dei monopoli

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A quei tempi, come oggi, la “sala macchine” era uno stanzone con un pavimento sopraelevato sotto al quale circola l’aria fredda necessaria per raffreddare gli elementi del calcolatore. Era tutto un groviglio di cavi e un grande abbondare di cacciaviti. Un paradiso, per molti smanettoni della ricerca, ma non per tutti. Cominciamo dall’inizio.

Credits: www.internetarchaeology.org

Quando mi sono iscritto alla facoltà di Fisica a Milano volevo diventare Astrofisico ma dopo pochi giorni mi parlarono di un esame del quarto anno che era accessibile anche alle matricole: Macchine Calcolatrici, di Marco Maiocchi.Fu un colpo di fulmine che mi portò ad un piano di studi quantomeno anomalo, mescolando corsi di astronomia e di informatica, che fece rabbrividire la responsabile ma fu finalmente approvato e col tempo mi portò dal 1983 all’Istituto di Fisica Cosmica e Tecnologie Relative (leggi elaboratori), l’IFCTR del CNR di Milano – prima per la tesi poi per con un contratto di lavoro -.

L’IFCTR gestiva in effetti un calcolatore con sistema operativo a macchine virtuali dell’IBM (con ben 4Megabytes di memoria centrale!) che offriva servizi di informatica a tutta l’area Cnr Milanese (SIAM), e quando arrivammo, in 3 neolaureati, il responsabile di allora, Fulvio Naldi, ci spiegò che la ricerca era una bellissima cosa ma dovevamo anche occuparci della gestione del centro e del supporto utenti e divise le incombenze in 6 fette, di cui ciascuno di noi ebbe la scelta di una prima e a cui sarebbe sata da lui assegnata una seconda.

Come prima io scelsi i Personal Computers, che vedevano il giorno proprio in quel periodo e che mi sembravano avere un brillante futuro (che visonario!) al che Fulvio disse: “benissimo, come seconda fetta ti occuperai delle reti, che sono complementari”.

Quando gli spiegai che delle reti io avevo solo un infarinatura teorica mi disse: “non ti preoccupare, ti faccio vedere!” e mi portò in sala macchine.

La sala macchine

A quei tempi, come oggi, la “sala macchine” era uno stanzone con un pavimento sopraelevato costituito da “mattonelle” di truciolare melaminato 60×60 sotto alle quali circola l’aria fredda necessaria per raffreddare gli elementi del calcolatore. Mi portò davanti ad una serie di scaffali pieni di scatolette impilate che mostravano una serie di luci lampeggianti multicolori sul lato frontale, sollevò con la ventosa una mattonella proprio di fronte e mi mostrò il groviglio di cavi di vari spessori e colori e mi disse: “ecco, questa è la rete, i cacciaviti e il saldatore sono nell’armadio in fondo alla sala….”.

Le scatolette risultarono essere dei modem con velocità da 300 bit al seconto fino ad un massimo di 9600 bit al secondo, sincroni ed asincroni, che servivano, via linee telefoniche, al collegamento di utenti “remoti” locali ed al collegamento alla rete nazionale del CNR.

Tra le incombenze del responsabile reti c’era anche la gestione di 2 macchine virtuali, RSCS e PVM, che, mi venne spiegato, servivano a gestire i collegamenti della rete.

Dopo qualche mese tentennante scoprii che dei file dati arrivavano mensilmente sul “reader” (la casella di posta elettronica del periodo) della macchina RSCS e chiesi dei lumi a Fulvio che rispose: “ah si, mi sono dimenticato, siamo collegati ad una rete Europea di Università e centri di ricerca che si chiama EARN (European Academic Research Network), i files sono le tabelle di routing che contengono i nomi di tutti i nodi della rete internazionale”.

Il giro del mondo via computer

Saltò fuori che la rete non era solamente europea ma collegava anche agli USA, il Canada ed il Giappone e tramite la quale era possibile scambiarsi messaggi istantanei (sullo stile dell’ AIM di America Online, e successivamente di molti altri) ed inviare file di dati, funzione che tramite un software sviluppato dall’università di Rice in Texas, permetteva di simulare l’invio di posta elettronica anche verso Arpa ed altre reti basate su TCP/IP.

Il mio innamoramento per le reti da quel momento fu inarrestabile e mi portò a collaborare in ogni modo possibile con altri centri sia del CNR (CNUCE in particolare: Stefano Trumpy, Marco Sommani, Blasco Bonito, Laura Abba, Daniele Vannozzi e altri) che universitari (CILEA di Milano: Andrea Mattasoglio, Valeria Rossi, ed altri).

Nel 1990 lasciai il lavoro precario in Italia e venni assunto da EARN, ufficio di Parigi, e iniziai a partecipare alle riunioni del nuovo gruppo tecnico europeo creato l’anno prima, chiamato RIPE (Reseaux IP Europeens).

Agosto 1990, sesto meeting di RIPE. Nella sala al mio arrivo, oltre a Blasco c’erano circa una quindicina di persone. All’inizio della riunione ciascuno dovette presentarsi e quando venne il mio turno, e dissi che lavoravo per EARN, Rob Blokzijl mi disse: “non ti preoccupare, non ti faremo del male”. Dal quel giorno cominciò per me quella che doveva diventare, come disse Bogart in Casablanca, una bellissima amicizia con Rob e Daniel (Karrenberg) ed una collaborazione durata poi oltre un ventennio.

Le guerre dei protocolli

Quello che mi divenne anche molto chiaro rapidamente, una volta intergrato lo staff di EARN, fu che in Europa in realtà era in corso una vera e propria guerra, che venne poi definita “la guerra dei protocolli”.Gli schieramenti vedevano da un lato la commissione europea e l’intellighenzia delle università europee nella persona di vari professori che avevano creato a tavolino un’architettura (in senso logico, non fisico!) di rete nota come OSI (Open System Interconnect) basata su sette livelli e che venne descritta da un umorista ai tempi: “bellissima ma impossibile”, e dall’altro il realismo americano di reti basate su protocolli funzionanti sia chiusi, come prodotti commerciali (tipo IBM SNA), sia aperti, e gestiti via il concetto “rough consensus and running code” dell’IETF.

All’epoca EARN, basata su protocolli IBM e largamente diffusa in quasi tutte le Università Europee, divenne il target principale delle ire comunitarie e OSI, mentre Internet, benché anch’essa basata su protocollo non europeo, non destò all’origine grande preoccupazione perché ancora poco diffusa sul vecchio continente.

La barzelletta che ci fa ridere, me e Daniel Karrenberg, è che è grazie ad EARN, che fece da parafulmine, che Internet riuscì a svilupparsi in Europa nell’ombra, finché non fu troppo tardi per la commissione per ostacolarne lo sviluppo in favore di OSI.

I monopoli delle telecom nei vari paesi e l’avvento del web

L’altro grosso problema delle reti in Europa agli inizi degli anni novanta era il costo astronomico delle linee telefoniche nazionali ed internazionali, causato essenzialmente dai monopoli delle telecom nei vari paesi.

Se per reti come EARN, che offrivano praticamente solo servizi di posta elettronica e transfer di files quasi esclusivamente scientifici una linea a 2Mb era all’epoca sufficiente per scambiare tutto il traffico tra Europa e USA, l’avvento del world wide web creò una domanda di banda passante enorme ovunque e generò problemi di saturazione giganteschi, al punto che qualcuno cominciò a chiamarlo world wide wait….

Era chiaro che serviva un’infrastruttura di rete comune in Europa per poter supportare finanziariamente le reti per le università e i centri di ricerca.

Tuttavia la guerra dei protocolli infuriava ed era impossibile trovare un accordo che accontentasse tutti, quantomeno in tempi rapidi. Fu per questo che nel 1991, al decimo meeting di RIPE, venne lanciata dagli olandesi di SurfNet l’idea di creare un backbone Europeo “multiprotocollo” basato su IP come protocollo di gestione ma che offrisse la possibilità di ospitare anche servizi basati sul modello OSI.

L’idea venne accettata con entusiasmo sia da EARN che dalla comunità di RIPE ed in una storica riunione allo zoo di Amsterdam il 30 Ottobre 1991 venne firmato un accordo (Memorandum of Understanding) tra la maggior parte delle reti accademiche nazionali ed internazionali europee per collaborare e finanziare EBONE, il primo backbone IP Europeo.Creare un backbone Europeo per InternetL’idea di EBONE aveva suscitato molto entusiasmo ed aspettative ma dopo il meeting di Amsterdam le cose andavano a rilento e non si riusciva a trovare un accordo sulla topologia della futura rete. Capii che era ora di vedersi negli occhi, dialogare, conoscere le cause che fermavano l’azione. Tutte le parti dovevano partecipare e farsi sentire, confrontarsi. Fu così.

Nel dicembre del 1991 organizzai la riunione al campus univarsitario di Jussieu, sulla “rive gauche” della Senna. Fu una delle più intense ed accese riunioni alle quali abbia mai partecipato, tutti erano molto tesi e preoccupati che le rispettive reti nazionali avessero un nodo di accesso principale sul backbone che, era già stato deciso per consenso, avrebbe avuto una topologia ad anello per garantire continuità di servizi in caso di problemi su un circuito.Da un lato i paesi del nord europa, già più avanti degli altri dal punto di vista organizzativo e con più fondi, dall’altra i paesi del sud, meno organizzati, e soprattutto con meno fondi, e poi io, come rappresentante di tutti i paesi connessi a EARN, inclusi i paesi dell’est e nord Africa, e altri.

La mattinata, punteggiata da momenti di grande tensione, fino all’abbandono del meeting da parte del rappresentante finlandese, che trovava le proposte sul tavolo inaccettabili, si concluse senza raggiungere un accordo.Per pranzo avevo prenotato un grande tavolo ad una brasserie di fronte all’università ed feci in modo che fosse servito del buon vino, in quantità!

L’atmosfera divenne vieppiù rilassata e l’andamento della riunione nel pomeriggio fu tutt’altra cosa. Si decise alla fine di presentare al gruppo di management di EBONE due possibili topologie, una meno costosa, a forma di diamante, con quattro nodi principali limitata ai paesi più a nord, ed una più onerosa, proposta da me, che includeva nell’anello un quinto nodo nel sud della francia (Montpellier) che era, guarda caso, uno dei nodi fulcro del backbone di EARN.Poche giorni dopo il gruppo di managrement di EBONE si riunì e decise all’unanimità di scegliere e finanziare la topologia a 5 nodi e già dai primi mesi del 1992 EBONE iniziò ad operare… Internet aveva finalmente il suo primo backbone Europeo. Il resto è storia che tutti conoscono.

DANIELE BOVIO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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