VC: La radiografia di chi investe in Europa e perché l’Italia si deve svegliare

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Dpixel è entrata a far parte di EVCA, l’Associazione Europea che raggruppa gli operatori del venture capital e private equity e, in qualità di associati, abbiamo ricevuto il report annuale degli investimenti.

Il 2011 è stato un anno in crescita per il fundraising di venture capital: sono stati raccolti 1,7 miliardi di euro nell’anno, che determinano una disponibilità di capitali per le startup pari a 4,85 miliardi di euro complessivi, contro i 3,17 del 2010. Questi capitali sono oggi gestiti da 135 operatori (advisor che come dpixel si occupano di investimenti, gestione portafoglio e disinvestimenti) di cui 29 hanno completato il fundraising durante lo scorso anno. I principali investitori di venture in Europa sono agenzie governative privati e aziende.

Nel complesso sono affluiti in Europa anche 35% di investimenti provenienti da investitori stranieri.

La radiografia di chi investe in startup in Europa è questa:

  • 34% da agenzie governative;
  • 15% da privati
  • 12% da aziende
  • 10% da banche e fondazioni bancarie
  • 9% fondi di fondi
  • 8% fondi pensione
  • il resto da compagnie assicurative, fondazioni, family office ed altri investitori istituzionali

I capitali arrivano da USA (20%), Asia (15%), Francia (12%), Scandinavia (9,4%) Germania 9%. L’Italia ,vista la dimensione esigua del mercato, non figura nemmeno nelle statistiche ed è affogata nella classica voce ‘others’. Nel 2011 3.143 aziende sono state finanziate dal venture capital, per un ammontare complessivo di quasi 4 miliardi di euro, con una media di poco più di un milione di investimento medio per startup.

Nell’ultimo trimestre 2011 in particolare sono state fatte circa 1.000 operazioni (circa 150 seed, 550 early stage e 300 later stage).

Di tutta questa miriade di dati alla fine uno in particolare lo trovo un ottimo indicatore di sintesi. Gli investimenti fatti su startup italiane sono una frazione di quelli ‘Southern Europe” (Grecia, Italia, Portogallo e Spagna) che complessivamente ammontano all’11% del totale.

Facendo una media con l’accetta, le startup Italiane riescono a raccogliere circa il 3% del venture capital Europeo!

Dati di questo tipo fanno il paio con le statistiche dell’AIFI che mostrano un panorama del venture Italiano che ancorchè in crescita (ma è facile passare da zero a uno…) è fondamentalmente insignificante rispetto alla quantità e qualità esistente in paesi come Francia, Germania, UK e persino della Scandinavia (che cuba più o meno la popolazione di una grande regione Italiana).

Qualche anno fa si sarebbe potuto obiettare che non ci fossero startup in Italia, ed era sostanzialmente vero. Ma negli ultimi 8 anni lo scenario è completamente cambiato. Ci sono decine di migliaia di giovani che stanno provando a far partire una startup in Italia e purtroppo la dura verità dei numeri è che la maggior parte di loro non riuscirà ad accedere al venture rimanendo in Italia. Le chance di riuscire a partire con la propria azienda aumentano di un ordine di grandezza spostandosi a Londra, Parigi, Berlino.

A parole, la politica e le istituzioni si stanno interessando al fenomeno delle startup e il Governo Monti ha prodotto una prima legislazione per favorire il settore, senza riuscire però a trovare i 150 milioni di euro di cui si parlava per fare il fondo di fondi e cominciare a catalizzare gli investitori su questo settore.

Tutti si sono dimenticati di affrontare il tema centrale: senza capitali non è pensabile di costruire grandi aziende tecnologiche competitive e senza venture capitalist è impossibile investire capitali sul territorio efficacemente e in scala.

In Italia ora ci sono le startup, c’è l’entusiasmo dei giovani, ci sono talenti, idee, mercati e Università. Risultano assenti all’appello lo Stato che con la chiusura del fondo HT ha di fatto eliminato l’unico investimento specifico nel settore. Sono anche assenti gli altri attori istituzionali: enti previdenziali, fondazioni bancarie, banche (con limitate eccezioni come ad esempio Intesa Sanpaolo e Banca Sella), compagnie assicurative. E sono assenti gli investitori aziendali, segno preoccupante della scarsa attenzione all’innovazione proveniente dalle startup degli imprenditori e manager Italiani. Fattore competitivo assolutamente essenziale in mercati a rapida crescita, come la storia della Silicon Valley ha dimostrato.

Non c’è niente da fare, questo nodo va risolto se si vuole veramente rilanciare l’occupazione giovanile in questi settori. A dir la verità, la dimensione delle risorse richieste è una frazione infinitesima di quelle messe su tantissime altre spese/investimenti del tutto improduttivi.

Tra un paio di settimane si va a votare. Possiamo solo sperare in un nuovo impulso da parte del prossimo Governo, qualunque esso sia, visto che a parole tutti vogliono bene alle startup e ai giovani e questo in teoria è uno dei pochi temi ‘by partisan’ oggi sul tavolo.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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Scritto da chef

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