Un italiano su 10 è già passato alla sharing economy

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Gli italiani sono pronti a condividere? Secondo la ricerca di Duepuntozero (Doxa), che verrà presentata oggi a Sharitaly, sembrerebbe di si.In Italia, infatti, il 13% della popolazione ha utilizzato almeno una volta i servizi che permettono di scambiare e condividere i beni. Una percentuale che si avvicina al punto critico di diffusione di innovazione (15%) teorizzata da Everett M. Rogers oltre 50 anni fa.

A questa si deve aggiungere un altro 10% che si dichiara interessato. Mentre il 59% degli intervistati conosce il fenomeno almeno per sentito dire. Dati che, tuttavia, mettono in luce anche un certo ritardo, se si pensa che il 52% degli americani ha affittato o prestato i propri beni negli ultimi due anni (Sunrun2012).Che il 64% dei britannici (ThePeoplewhoshare) e un francese su due (Observatoire de la Confiance) ha dichiarato di prendere parte alla sharing economy.

Un ritardo che non va attribuito, alla poca propensione degli italiani a condividere ma, piuttosto, alla poca conoscenza dei servizi e dei loro vantaggi.

Gli intervistati rimangono colpiti scoprendo quanti servizi collaborative esistono in Italia, e ne sottolineano più volte il valore, non solo economico, ma soprattutto relazionale.

La sharing economy diventa l’occasione per intrecciare nuove relazioni e recuperare quel capitale sociale che ha sempre fatto parte del nostro tessuto culturale (come ha scritto R. Putman), ma che è andato perso con la società dei consumi.

Certo non mancano i pregiudizi e le paure. La fiducia, infatti, è la prima barriera al diffondersi della sharing economy. Titubanza a condividere per un’innata diffidenza verso gli sconosciuti (“e se il mio ospite mi rovina la casa?”), che in Italia si mostra anche nei confronti delle piattaforme stesse (a chi consegno i mie dati?).

Elemento questo sì tutto italiano. Scarsa familiarità con internet e poca fiducia nelle garanzie sulla sicurezza online sono gli elementi che da sempre non fanno decollare l’ecommerce, o gli internet banking, e che creano ritardi anche nei servizi collaborativi. Per ovviare queste diffidenze gli intervistati suggeriscono alle piattaforme di evidenziare i pareri degli utenti, ma anche di fare accordi con istituzioni e grandi marchi.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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Scritto da chef

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