Tutti in marcia per il clima, le rinnovabili e la pace nel mondo

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È un bambino, battendo la mano aperta sul tavolo, a porre fine alla trattativa tra le nazioni sulle proposte per la riduzione dell’inquinamento e, quindi, della temperatura del pianeta: “2 gradi e sto!” #2gradiesto è il filmato prodotto da Green Cross come parte delle innumerevoli iniziative per ricordarci che la Terra ci è data in prestito dai nostri figli.

La Marcia per il Clima – @ClimateMarch15 – è già partita da tempo nello spazio della viralità digitale e il fatto che, per ragioni di sicurezza, la polizia francese abbia vietato che si svolgesse a Parigi in apertura della COP21, promossa dalle Nazioni Unite dal 30 novembre al’11 dicembre, ha solo moltiplicato l’attenzione per la prossimità degli oltre duemila appuntamenti in tutti i continenti per sabato 28 e domenica 29 novembre.

Credits: www.margutte.com

In Italia sono centinaia, oltre all’appuntamento nazionale domenica 29 a Roma alle 14,00 a Campo dei Fiori

La COP21di Parigi è cruciale poiché deve condurre ad un accordo internazionale sul clima che limiti il riscaldamento globale sotto i 2°C. L’accordo tra i 25mila delegati ufficiali di 195 paesi, per la prima volta dall’11 dicembre 1997 quando fu redatto il primo trattato, sarà vincolante per tutti e ciò rende l’appuntamento di importanza cruciale. La Marcia per il Clima invita tutti a unirsi al “Movimento per la Giustizia Climatica”, perché anche se ormai tutti, anche la Cina e gli Stati Uniti, condividono la necessità di ridurre il riscaldamento globale e l’effetto serra, i termini della questione riguardano l’equità sociale e ambientale dell’attuazione di questo proposito.

È di tutta evidenza che i 195 partecipanti hanno quote di emissioni e di responsabilità molto diversificate:

Stati Uniti e Cina sono responsabili del 44% delle emissioni globali di gas serra, l’UE del 10%, l’India del 7,1%, la Federazione Russa del 5,3%

In questo senso proprio l’accordo dell’11 novembre 2014 tra USA e CINA sarà condizionante per il trattato della COP21 così come ne sottolinea la portata strategica perché vincolante.

C’è inoltre un aspetto glocal nei contenuti del trattato e nella loro traduzione in norme e scelte locali. Un aspetto che i milioni di abitanti della Terra che marceranno domenica 29 richiamano con la loro presenza: chi paga la riconversione di un modello di sviluppo energivoro, ritenuto velleitariamente illimitato? Certamente non si presterà spontaneamente a farlo il sistema di imprese e azionisti che su questo modello hanno costruito le proprie fortune.

La questione della giustizia climatica riguarda e riflette le relazioni tra i paesi del mondo ma anche gli equilibri e le responsabilità tra i diversi attori sociali all’interno dei singoli paesi.

L’ambiente non conosce confini e la sostenibilità ambientale ha a che fare con quella sociale, così come con quella democratica per il diritto all’informazione e di parola.

Il cambiamento di consumi e di costumi, che ognuno dei milioni di marciatori pratica, nasce da una consapevolezza acquisita della relazione tra mente-corpo-natura o dalla reazione ad una aggressione del proprio ambiente vitale e della propria salute. In ogni caso questo processo, questa consapevolezza, che rimandano all’idea di bene comune, chiamano immediatamente in causa la necessità di passare da un principio filosofico ad una azione politica efficace.Stiamo attraversando una crisi prodotta dalla ridefinizione degli equilibri e dei pesi specifici propri della globalizzazione. In particolare apprezziamo gli effetti della crisi di un modello di sviluppo basato sulla crescita quantitativa illimitata, incurante delle risorse naturali delle quali disponiamo e, quel che è peggio, con la sua deriva speculativa finanziaria che produce valore come bolla nominale.

Credits: newsroom.unfccc.int

Il corto circuito tra i milioni di persone che prenderanno parola nel week end e i 25.000 delegati che dovranno approvare il trattato della COP21 a Parigi è tanto evidente quanto le reti di pratiche sostenibili e di qualità del vivere sociale nel villaggio globale che lo producono. Se davvero volessimo raggiungere entro il 2050, come tutte le proiezioni delle agenzie internazionali di analisi economica propongono, l’inclusione della popolazione terrestre nel mercato elettrico, dando ad ogni abitante del pianeta l’accesso alla quota di chilowattora minima per sopravvivere, dal 2012 avremmo dovuto allacciare alla rete elettrica globale circa 100 milioni di nuovi utenti all’anno. Per assicurare ai nuovi cittadini del villaggio globale l’elettricità equivalente al consumo media dei cittadini americani nel 1950, Jeremy Rifkin, in “Economia dell’Idrogeno” ha calcolato che sarebbe indispensabile produrre il quadruplo dell’energia distribuita.

Jeremy Rifkin, citando il rapporto dell’Elettric Power Research Institute, che sarebbe necessario mettere in rete ogni due giorni dall’inizio del 2000 per i prossimi 50 anni, un impianto di generazione da 1000 megawatt. Come limitare la soglia di degenerazione strutturale e il conseguente inquinamento dell’ecosistema, se almeno i generatori non si basano su fonti rinnovabili? Con una spesa non inferiore ai 150 miliardi di dollari anno. Sono cifre che ci fanno comprendere come siamo al capolinea delle fonti fossili e il vecchio modello di produzione e consumo, basato su una filiera verticale di produzione centralizzata. Cambiare il modello significa mutare, radicalmente, la filosofia operativa e sopratutto la dinamica degli scambi.

Significa stravolgere l’idea stessa di impresa energetica diventando prosumer, produttori, oltre che consumatori, di energia.

La pratica di un modello reticolare è propria di un sistema territoriale qualitativo dove l’opinione pubblica avvertita è costituita dalla condivisione di responsabilità attraverso pratiche di cittadinanza attiva.

Le esperienze di autoproduzione energetica nel mondo

Uno dei fenomeni di efficienza più accreditati nel servizio energetico negli Usa è il Touchstone Energy un consorzio di cooperative che assicura la distribuzione di energia a 16 milioni di famiglie, sparse in 39 stati dell’unione. Il network funziona come un’agenzia di brokeraggio, che, mediante un’intensa strategia comunicativa, condotta con tutti i media, ma orchestrata attraverso comunity on line, censisce e soddisfa, in tempo reale, i fabbisogni dei suoi utenti. Selezionando e acquisendo quote di energia dai più diversi produttori, sparsi sul territorio. Le energie rinnovabili fanno la parte del leone, per competitività e per le esplicite richieste degli utenti. In California si sta espandendo un fenomeno come l’Energy Coperative development program per supportare i consumatori che si autonomizzano dai servizi privati, aiutandoli ad organizzare cooperative e sistemi energetici sussidiari. Tra gli associati sono numerose le piccole aziende, gli studi professionali e i laboratori che si autorganizzano. Così per l’agricoltura la California Electric User Coperative associa aziende agricole per la produzione di energia rinnovabile. A New York, dalla fine degli anni ’90, la Rochedale Coperative Group Inc. serve decine di migliaia di appartamenti attraverso sistemi di co-generazione e di diffusione di energie rinnovabili mediante il suo network denominato Green Apple. Così a Chicago con la Comunity Energy Coperative, promossa da una estesa comunity organizzata dall’associazione no profit Center for Neighborhood Technology.

E in Italia che succede?

Cambia la consapevolezza degli utenti ma le imprese produttrici, lungo la filiera energetica, sono pronte, in particolare in Italia? L’Italia è il terzo paese nel mondo per parco fotovoltaico installato, dietro solo alla Germania e alla Cina, e prima di Usa e il Giappone. Il report Anie Rinnovabili, che associa in Confindustria le imprese costruttrici di componenti e impianti per la produzione di energia da fotovoltaico, eolico, biomasse e geotermia, mini idraulico, a fine 2014 si è arrivati a 648.183 impianti installati, per una potenza di 18.325 MW, il 15% delle installazioni nel mondo.

Credits: www.buonenotizie.it

Il solare in Italia registra la crescita degli impianti di piccola taglia. Il numero di impianti installati nel 2014, 50.571, per una potenza di 385 MW, evidenzia il peso degli impianti del settore residenziale. Vicino ad Agrigento c’è il terzo stabilimento in Europa per la produzione di pannelli a film sottile con una capacità produttiva annuale di 40 megawatt. Ancora i Sicilia, nel catanese, l’alleanza tra ENEL Green Power, STMicroelectronics e Sharp ha dato vita ad una fabbrica di pannelli a film sottile, la 3SUN, fabbrica di pannelli fotovoltaici a film sottile multi-giunzione che, dicembre 2011, ha prodotto pannelli per 500 MW, equivalente fabbisogno energetico di 300,000 famiglie, con un importante indotto tecnologico per la Sicilia e per l’esportazione, in particolare, in Sud America e Sudafrica dove interviene direttamente Enel Green Power. Il confronto con l’energia prodotta da combustibili provenienti da fonti fossili non si propone solo per i costi ambientali legati alle emissioni di CO2 nell’atmosfera, con le conseguenti alterazioni climatiche che stiamo scontando. Irena – International Renewable Energy Agency – ha rilevato che in Europa nel 2014 i nuovi progetti di eolico su terraferma hanno prodotto energia ad un costo inferiore rispetto agli impianti tradizionali. Nel 2014 i prezzi dei moduli erano più bassi del 75% rispetto al 2009.

L’indice IREX che monitora l’andamento delle quotazioni di borsa delle società il cui business si fonda sulle energie rinnovabili, ha rilevato che del 2009 gli investimenti in energia pulita hanno superato, per la prima volta, quelli nelle fonti tradizionali. Fin qui, lungo la filiera, possiamo rilevare una forte capacità di sviluppo nell’Università e nei centri di ricerca, con una buona collaborazione con il sistema delle imprese che ne consente la rapida trasferibilità dell’innovazione tecnologica negli impianti, che così costano meno come i singoli componenti.

C’è poi da considerare il fattore geografico della localizzazione degli impianti perché determina la quantità di irraggiamento solare. Ad esempio: se oggi la Germania produce dieci volte l’energia fotovoltaica che produciamo noi “Paese del Sole”, dobbiamo considerare che, al di là di ogni efficienza, i paesi nordici non sono in grado di reggere la competizione con paesi mediterranei come Portogallo, Spagna, Italia, Grecia. La Grecia, appunto, per alimentare con il petrolio le sue isole ha un costo di 800 milioni di euro annui in sussidi, l’equivalente del taglio delle pensioni per la riduzione del debito nazionale. Anche da noi, la produzione energetica per 20 delle nostre isole minori, tra le quali il Giglio, Favignana e le Tremiti, è basata quasi esclusivamente sul petrolio, e nella bolletta degli italiani pesa annualmente oltre 60 milioni di euro.La disponibilità tecnologica delle energie rinnovabili impatto con il sistema tradizionale basato su produzioni di massa e consumi standardizzati, guidati da pochi produttori. Ciò vale non solo nell’occidente ma anche per le nuove borghesie cinesi e indiane, mettendo in discussione i parametri economici tradizionali.

Tutto questo è in marcia nel mondo.

FIORELLO CORTIANA

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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