Siete sicuri di sapere dove siete? 4 mappe per prevenire ogni rischio

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Sapreste cosa fare e dove andare in caso di terremoto? Sapete dove siete? Oltre alla nome della vostra via, al CAP, al nome del Comune, magari qualcuno da queste parti (i lettori di che futuro) conosce anche il suo indirizzo IP: ma siete sicuri di sapere dove siete? Tanto per fare un esempio: quanti prima del terremoto del 29 maggio 2012, sapevano il perché, a Ferrara, una località si chiamava Fondo Sabbione o, un’altra, Osteria delle sabbie? In molti, anche degli stessi abitanti, lo hanno capito quando, in seguito alle spaccature del terreno provocate dal terremoto, hanno visto la sabbia del letto del fiume Reno comparire sulla strada. Ecco: loro lo hanno scoperto, dopo, dove erano.

Uno studio sulla sismologia storica dell’INGV dice che l’Italia è piena di “memoriali sismici” che però non sappiamo più leggere, anche se sono sotto i nostri occhi tutti i giorni: in tutta Italia ci sono 165 rituali praticati in 148 comunità che ricordano il terremoto.

Dal Duomo di Lecce a quello di Siena, dalla Basilica di San Zeno a Verona a alle celebrazioni di Sant’Emidio, culto antisismico per eccellenza i cui riti vengono svolti in gran parte delle zone sismiche di tutto il mondo: sono solo alcuni degli esempi con cui affreschi, incisioni, riti e targhe servivano a dire “Voi siete qui” a chi ci viveva. Poi rituali e segni sono diventati parte del tutto e non sono più stati parte della memoria civica e del presente delle comunità più esposte al rischio: è statisticamente provato che la memoria collettiva di una catastrofe dura circa 3 generazioni. Per questo ogni alluvione, ogni terremoto sono diventati catastrofi e hanno provocato più danni perché abbiamo esposto le nostre vite al caso e alla fatalità, o alla denuncia del malcostume post-tragedia anziché alla conoscenza di dove abbiamo costruito e dove viviamo.

Altra domanda: sapreste dove andare in caso di emergenza? In base a quanto previsto dalla legge 100 del 2012 in materia di protezione civile, ogni comune dovrebbe far conoscere ai suoi cittadini i piani comunali di emergenza. Sui 7.759 comuni presenti in Italia, sono 5.887 (il 76%) quelli che dispongono di un piano di emergenza. In Emilia su 348 comuni, sono 267 (il 77%) i comuni che si sono dotati di un piano. In Campania solo il 39% dei comuni (214 comuni su 551) dispongono di un piano di protezione civile, in Calabria 219 su 409.

Ora che sapete dove andare in caso di emergenza, sapete cosa fare in caso di terremoto? Da qualche giorno sono disponibili online quattro mappe della campagna “io non rischio” (#iononrischio) realizzate da INGV.

Una mappa interattiva per conoscere la storia sismica dei comuni in cui si svolgerà la campagna organizzata dal Dipartimento di Protezione Civile, Anpas, INGV e Reluis e che il 14 e 15 giugno porterà 3500 volontari di protezione civile in più di 200 comuni d’Italia per sensibilizzare i cittadini sul rischio sismico e sul rischio maremoto. Altre tre mappe interattive raccontano la sismicità recente, a pericolosità sismica e i forti terremoti del passato.Se, ad esempio, volete conoscere la pericolosità sismica del vostro comune, potete cercarla all’interno della mappa interattiva “La pericolosità sismica” e vedere nella legenda a cosa corrisponde: la mappa mostra, infatti, la pericolosità delle varie zone, che va da moderata (colore grigio) a molto alta (colore viola).Sapere dove si è in questo caso è importante, soprattutto per chi vive in territori più esposti al pericolo di terremoti, ma anche per acquisire la consapevolezza che l’Italia è un paese sismico o che un terremoto distruttivo come quello dell’Irpinia del 1980 avviene statisticamente ogni circa 25 anni.

Quasi contemporaneamente, dall’altra parte dell’oceano, la città di New York, si sta attrezzando per fronteggiare possibili uragani che potrebbero colpirla con la campagna #knowyourzone: l’obiettivo è aumentare la consapevolezza sui rischi associati alla zona in cui si vive, cosa fare per prepararsi all’emergenza, far conoscere le zone di evacuazione e segnalare i punti della città maggiormente vulnerabili. Sei diverse zone rappresentate da un occhio con sei colori concentrici che dall’azzurro al rosso incrementano la pericolosità all’aumentare della pericolosità. Per la campagna è stato attivato anche un sistema di allertamento il quale, tramite sms, twitter o email, avvisa del pericolo.

Nell’agosto 1955, all’indomani degli uragani Connie e Diana che provocarono la morte di 184 persone, un giornalista che si chiamava John Hersey scrisse che “è in una catastrofe che gli esseri umani capiscono di come sono fatti loro e quelli che li circondano”. Ecco adesso possiamo capirlo prima iniziando dalla conoscenza di dove siamo, e magari facendo prevenzione civica partecipando il prossimo 14 e 15 giugno a “Io non rischio” in più di duecento piazze d’Italia.

1 giugno 2014Andrea Cardoni

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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