Scriptorium, il nostro hackathon a Pompeii (e perché vogliamo beni culturali sempre più open)

innovaizone

Faccio il direttore scientifico di un progetto chiamato OpenPompei, che promuove la cultura della trasparenza, degli open data e dell’hacking civico. La Pompei moderna, come tutti sanno, contiene le rovine dell’antica Pompeii romana; contiene anche molte altre cose, tra cui una presenza piuttosto aggressiva della criminalità organizzata. Questo rende il progetto più difficile.

Ma anche open data e trasparenza sono una forza potente. Nonostante molte resistenze culturali, facciamo progressi. Il nostro successo più importante finora è probabilmente il portale open data del Grande Progetto Pompei, un imponente progetto governativo che investe 100 milioni di euro nell’area – prevalentemente per preservare i resti archeologici di Pompeii e potenziare i servizi al parco archeologico. Con un po’ d’aiuto da parte nostra, la Direzione Generale del GPP ha cominciato a rilasciare dati aperti di tipo finanziario a settembre 2014: chi vince gli appalti, come il denaro viene speso etc.

Da allora il sito è sempre rimasto aggiornato; in aggiunta, abbiamo organizzato monitoraggi civici (anche con le scuole), contributo a lanciare Confiscati Bene, un magnifico progetto grassroots di dati aperti sui beni confiscati alla criminalità organizzata, intermediato tra la Fondazione Wikimedia e la Soprintendenza di Pompeii per fare entrare i fotografi open content di Wiki Loves Monuments negli scavi, per creare un common fotografico su Pompeii.

Nel 2015, ultimo anno del progetto, abbiamo deciso di rilanciare. Abbiamo fatto un’alleanza con la scena dell’archeologia open data, che è minuscola ma coraggiosa, e dal potenziale dirompente.

Gli archeologi open sono marginali, adesso. Ma hanno le chiavi per introdurre un cambio della guardia completo nell’archeologia e nella gestione dei beni culturali.

Possono fare cose straordinarie: ricerca computazionale che incrocia reperti trovati in scavi diversi, se questi hanno modelli dati interoperabili; mappe in quattro dimensioni (devono farle, perché in archeologia gli oggetti devono essere mappati non solo nello spazio, ma anche nel tempo).

Presto conquisteranno le riviste accademiche, svilupperanno esperienze di realtà aumentata per turisti (un esempio che conosciamo bene: PompeiiTouch), e inevitabilmente faranno carriera, conquistando posizioni di potere nell’accademia e nelle istituzioni. Se manterranno la loro mentalità aperta, potranno dare un grande contributo ad aprire i beni culturali. E la cultura open è potente e inclusiva. Libera l’interazione individuale con i beni culturali e la storia stessa, rende ciascuno un protagonista del grande arazzo della storia.

La cultura open è la ragione per cui questo piccolo gruppo di archeo-geeks, oggi sottofinanziato e marginale, è il futuro dell’archeologia.

Così, prima abbiamo organizzato una scuola di open data archeologici a Pompeii (dentro al parco archeologico!). L’abbiamo chiamato STVDIVM, pensando che l’inglese è sì la lingua dei dati, ma che sarebbe stato divertente per gli archeologi open rivendicare un lingua morta, il latino, come una bandiera culturale.

È andata bene: moltissimi iscritti, entusiasmo palpabile. Pochi archeologi sanno scrivere codice o manipolare i dati, ma hanno tantissima voglia di imparare.

Basandoci su quell’esperienza, stiamo per fare un altro salto nel buio, e ci siamo inventati il primo hackathon archeologico mai tenuto negli scavi di Pompeii. L’abbiamo chiamato SCRIPTORIVM, perché a questo punto il latino è diventato una specie di distintivo per questa piccola cultura. Il minisito di SCRIPTORIVM ha l’interfaccia di navigazione in latino, e anche il video trailer è in latino.

Negli ultimi mesi, questa esperienza si è collegata con il lavoro che, insieme a molti altri, ho fatto negli anni passati sulla candidatura di Matera a Capitale Europea della Cultura 2019 (e sì, abbiamo vinto). A Matera ci siamo mossi per creare una strategia culturale basata sull’apertura radicale; questo ci ha permesso di mobilitare moltissime persone al di là della solita intelligentsija, e alla fine ha dato alla nostra proposta una forza creativa e un’intelligenza imbattibile. L’esperienza è stata generativa; la microazienda sociale che ho contribuito a fondare, Edgeryders, è stata ingaggiata dalla città di Bucarest per contribuire a costruire la candidatura della città a Capitale Europea della Cultura 2021; stiamo discutendo di costituire un Edgeryders Culture Team, che curi una linea di prodotti di consulenza sulle politiche culturali.

A me sembra che tutte queste storie puntino nella stessa direzione – da Pompeii alla Romania, da Matera a Bruxelles.

A tutti voi che vi occupate di cultura, il mio messaggio è: fate cultura aperta.

Asfaltate chiunque cerchi di limitare l’accesso di tutti, spiazzate e delegittimate le élites culturali quando occupano rendite di posizione, e mettete al centro del vostro lavoro le persone, tutte le persone. La cultura è per tutti, ad universos homines. Un recente, magnifico post dell’archeologo open Gabriele Gattiglia lo dice meglio di quanto potrei fare io (e ha anche riferimenti pop migliori dei miei).

E se volete vedere da vicino un hackathon su dati aperti archeologici, venite a Pompeii il 19 e 20 giugno*. Avremo lavoro per tutti, dai data geeks esperti alle persone senza nessuna esperienza. Se vi piacerà – beh, potrete organizzarne uno voi stessi, e lavorare sui beni culturali della vostra città. Più informazioni qui.

Dedicato a Paola Buttiglione, Emmanuele Curti, Gabriele Gattiglia e Julian Richards, che mi hanno introdotto agli open data in archeologia.

ALBERTO COTTICA26 maggio 2015

* (La due giorni di Pompeii si concluderà con il primo TEDx Pompeii)

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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