Immagina di avere tra le mani un documento che racchiude tutta la tua storia sanitaria, ma che in realtà risulta inutilizzabile per milioni di italiani. Questo è il drammatico scenario dipinto dalla Fondazione Gimbe riguardo al Fascicolo Sanitario Elettronico (Fse). Nonostante le promesse di digitalizzazione e accesso universale, la realtà si presenta ben diversa, piena di disuguaglianze tra le varie Regioni del nostro Paese. Come può un sistema così fondamentale essere così inaccessibile?
1. Un Fse lontano dalla piena operatività
Secondo l’analisi della Fondazione, solo quattro tipologie di documenti sanitari sono disponibili in tutte le Regioni italiane. Ma attenzione: solo il 42% dei cittadini ha dato il consenso per la consultazione dei propri dati! 👀 Le differenze sono sconcertanti, con il Sud Italia che registra le percentuali più basse.
Come ha affermato il ministro della Salute, Orazio Schillaci, “non è solo un problema tecnico, ma una questione di equità nell’accesso alle cure”. La domanda sorge spontanea: come possiamo garantire a tutti i cittadini una sanità equa e accessibile?
Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, ha messo in evidenza come il Fse dovrebbe essere uno strumento fondamentale per migliorare l’accessibilità e la continuità delle cure. Eppure, per molti italiani, rimane un obiettivo irraggiungibile. Solo il 68% dei documenti previsti è accessibile a livello nazionale, e nessuna Regione riesce a fornire tutti i tipi di documenti richiesti. La situazione è davvero insostenibile, non credi?
2. Disparità regionali allarmanti
Il quadro che emerge è inquietante. Le differenze tra le Regioni sono enormi: ad esempio, il Piemonte e il Veneto offrono il 93% dei documenti, mentre Abruzzo e Calabria scendono al 40%.
Alcuni documenti essenziali, come il profilo sanitario sintetico e le prescrizioni, sono disponibili in oltre l’80% delle Regioni, ma il gap rimane inaccettabile. Non è giusto che un cittadino veneto abbia accesso a molte più informazioni rispetto a uno siciliano. In un Servizio sanitario nazionale che dovrebbe garantire diritti universali, questa disparità è inaccettabile.
Inoltre, i servizi digitali offerti dai Fascicoli sanitari regionali variano notevolmente: solo la Toscana e il Lazio superano il 50% di servizi attivi. In Calabria, invece, si ferma al misero 7%. Cartabellotta sottolinea che la mancanza di integrazione tra i vari canali digitali porta a una visione distorta dell’effettiva disponibilità dei servizi. Ma come possiamo aspettarci un miglioramento se non si affrontano queste disuguaglianze?
3. L’alfabetizzazione digitale: un passo fondamentale
Al 31 marzo 2025, solo il 42% dei cittadini ha dato il consenso per la consultazione dei propri dati sanitari attraverso il Fse. E le differenze tra Regioni sono enormi: dall’1% di Abruzzo, Calabria e Campania al 92% dell’Emilia-Romagna. Questo scenario è ancora più allarmante nel Mezzogiorno, dove l’utilizzo del Fascicolo è inferiore all’11%. È davvero possibile che in un Paese come l’Italia, così ricco di cultura e innovazione, ci siano ancora tali disparità?
Ma c’è di più: tra gennaio e marzo 2025, il 95% dei medici di medicina generale ha effettuato almeno un accesso al Fse, con nove Regioni che raggiungono il 100% di utilizzo. Tuttavia, le disparità restano e il 72% dei medici specialisti non ha accesso ai documenti. La Liguria è in fondo alla lista, con solo il 16% degli specialisti abilitati. Cartabellotta conclude che in alcune Regioni il Fse è un valido strumento, mentre in altre è solo un contenitore vuoto. E questo è inaccettabile!
È chiaro che la sanità digitale non può essere un’innovazione per pochi. L’alfabetizzazione digitale è fondamentale per garantire che tutti possano usufruire del Fse. Investimenti e governance centralizzata sono essenziali per garantire diritti a tutti gli italiani, indipendentemente dal luogo in cui vivono. La vera sfida sarà rendere il Fse uno strumento accessibile e utile per tutti, senza lasciare indietro nessuno. Sei pronto a unirti a questa battaglia per una sanità più giusta?