Scegliere tra carriera e famiglia non è solo una questione da donne

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Questa volta voglio proporvi una frase che mi ha fatto pensare: “le donne non possono avere ancora tutto”. Lo dico subito, l’ha scritta una donna, una donna che di carriera ne ha fatta parecchia. Si chiama Anne-Marie Slaughter, ha 53 anni e fa la professoressa alla Princeton University. Nel 2009 inizia a lavorare a Washington come direttore del Policy Planning per il Dipartimento di Stato. Tanto per intenderci, il suo capo era Hillary Clinton. Orari di lavoro massacranti, lontano dalla famiglia, tante responsabilità ma almeno la certezza di essere arrivata là perché sei davvero brava.

Dopo due anni di sacrifici, Anne-Marie decide di mollare tutto e tornare a Princeton dai due figli adolescenti. Vuole vederli crescere e dedicarsi alla vita accademica – tutt’altro che monotona – di un tempo.

A tutte le donne che le chiedono perché abbia lasciato un ruolo di potere così importante lei risponde così: ho scelto la mia famiglia. Insomma, per quanto brava e fortunata – ha un marito che appoggia la sua scelta di fare carriera e resta a casa con i figli – Anne-Marie è giunta alla conclusione che negli Stati Uniti le donne non possono ancora conciliare lavoro e affetti personali.

Lo ripete anche nel suo lungo articolo pubblicato su The Atlantic, “Why Women Still Can’t Have It All”. Se n’è parlato tantissimo. L’articolo è lunghissimo e molto approfondito, e il messaggio centrale è “Donne, non vi illudete, non è possibile avere tutto”. Va bene, sappiamo tutte che il potere è concentrato nelle mani degli uomini, ma io non sono molto d’accordo su quanto dice Anne-Marie, perché secondo me femminilizza troppo il problema.

Nella famiglia ci sono dei ruoli da rispettare e delle necessità che possono essere assolte preferibilmente da uno dei genitori.

Anne-Marie ha deciso che in questo momento della sua vita essere vicina ai propri figli era la cosa da fare e, visto l’impegno necessario per svolgere il suo lavoro, è tornata a fare quello che faceva prima. Perché? Un uomo non lo avrebbe fatto? Se un padre si sente scosso nella coscienza non è ammissibile che faccia lo stesso? E questione di genere o di sentimento?

La questione va posta quindi su un altro piano, quello dei ritmi frenetici delle professioni impegnative, delle responsabilità all’interno della famiglia e delle aspettative.

Oltretutto, non va visto soltanto rispetto alla famiglia. Un manager d’azienda con la passione per la bicicletta non può pretendere di vincere il Tour de France se non si allena 8 ore al giorno.

Quindi deve scegliere, o dirige l’azienda o vince il Tour de France. Se decidesse di vincere il Tour dovrebbe fare l’impiegato e non il manager.

Lo sa bene anche Anne-Marie, e lo scrive chiaro e tondo: non si riferisce a tutte quelle donne che devono tenersi stretto il lavoro per mantenere i figli. Donne sotto i trent’anni che vivono da sole e non hanno un marito che decide di restare a casa per prendersi cura dei figli. Si rivolge a quelle come lei, che hanno avuto l’opportunità di fare il salto nell’arena del potere. Perché lo vive e lo presenta come un fallimento “femminile”? Lei ha una cattedra a Princeton e una carriera elettrizzante, e ci è arrivata con le sue forze. Vi pare poco?

Perché non riconosce semplicemente di aver avuto il successo che meritava, di aver costruito una famiglia solida e di aver fatto la scelta, per i figli, di fare un passo indietro? Come genitore non come donna.

Avere dei figli implica una serie di responsabilità che riguardano il sostegno dei cuccioli nei momenti di difficoltà fisica o psichica. Anne-Marie poteva delegare la vicinanza ai figli ad una istitutrice o ad un parente ma non se l’è sentita. Allo stesso modo ha fatto suo marito prima di lei, rinunciando ad una luminosa carriera pur di essere sostegno portante del progetto familiare condiviso.

Neanche suo marito ha avuto tutto.

Padova, 26 luglio 2012ILARIA CAPUA

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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