Quando si parla di donne quelli della Silicon Valley sono più Flinstones che Jetsons

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L’elite della Silicon Valley è convinta che da quelle parti siano molto più avanti rispetto al resto del mondo. Ma quando si tratta di diritti delle donne sono indietro proprio come il resto del mondo.

Foto: Marcel Oosterwijk (Flickr)

Sono quasi caduta dalla sedia per la gioia, quando Hillary Clinton, in un discorso proprio alla Silicon Valley, ha detto che “stiamo andando a ritroso in un campo che è destinato ad andare avanti”. C’era bisogno di dare lì quel messaggio, forte e chiaro.Il successo non ti protegge dal sessismo. In Silicon Valley sono riuscita a raccogliere più di 600 mila dollari per la mia startup, ma mi sono trovata esposta a sessismo in molte situazioni.Mi è stato detto più volte che la mia idea era “bella ma troppo piccola”, che il mio atteggiamento fosse “troppo debole” o “troppo assertivo” e che “solo due ragazze” (cioè io e la co-fondatrice) non avrebbero mai potuto raccogliere fondi tra gli investitori della Silicon Valley.

Sono riuscita a dimostrargli che si sbagliavano, nonostante sia dovuta passare attraverso presentazioni piene zeppe di battute sessiste.

Come quando sono stata accolta sul palco come “la ragazza” e ho dovuto sorridere e sopportare quando ho ricevuto complimenti per il mio aspetto durante le riunioni di lavoro.

“E’ sempre un piacere essere in così bella compagnia” mi ha detto un investitore, facendomi l’occhiolino. E’ stato difficile far finta di non sentirmi discriminata in quei momenti. Soprattutto durante le mie presentazioni ai panel in prevalenza maschile o con gli uomini delle società di venture capital.

Ma se è una sfida essere donna nel settore della tecnologia, è una sfida ancora più grande essere una donna che parla di sessismo. Ogni volta che lo faccio trovo folle di colleghi pronti a dirmi che la raccolta di fondi non ha nulla a che fare con il sesso: che è difficile per le donne come per gli uomini.

E quando faccio notare i numeri impressionanti che parlano di disuguaglianza sono spesso accusata di “giocare sui sensi di colpa” e di odiare gli uomini.

La verità è che la Silicon Valley è intrisa di una “cultura bro” che spinge anche le donne più intelligenti a pensare e ad agire come uno studente goliardico per essere accettate dal branco.

Non solo le infinite feste Beer Pong del venerdì sera; è proprio l’essere costrette ad ignorare quello che sta accadendo proprio davanti ai vostri occhi.

Quando Newsweek pubblicò una copertina dal titolo “Cosa pensa la Silicon Valley delle donne“, con un’inchiesta sulla discriminazione di genere nel settore della tecnologia americana, una mia collega a 500startups (amministratore delegato di un’azienda di successo) ha scritto su Facebook: “Sinceramente odio gli articoli maschilisti come questo! Sì, c’è una questione di genere, ma articoli come questo sviliscono il ruolo delle donne, rendendole insignificanti e impotenti: non fanno altro che peggiorare la situazione! Newsweek potrebbe anche cambiare il titolo in “Non hanno successo? E’ colpa degli uomini”.

E non sono gli unici a pensarla così. Un’altra mia cara amica, imprenditrice nel settore della tecnologia, mi ha detto recentemente: “Se si cede ai sensi di colpa mentre si sta giocando, si perde”. Questo atteggiamento rende solo più facile per sessisti dire “Vedi? Non c’è nulla di cui preoccuparsi!”.

E invece c’è da preoccuparsi. La cultura dominante nel mondo della tecnologia ci presenta costantemente con una falsa scelta: le donne devono scegliere se parlare di sessismo o essere valutate per il loro talento e per come lavorano.

E’ diventato un pensiero fisso, tanto dall’indurmi a pensare che alla fine non dovrei lamentarmi troppo. Mi chiedo: se lo faccio, perderò?

Il modo migliore per raggiungere le pari opportunità è quello di smettere di fingere che sia tutto a posto. Sono contenta che Hillary Clinton abbia deciso di parlare di sessismo. Vorrei solo che per le donne fosse più facile farlo anche all’interno della Silicon Valley.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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Scritto da chef

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