Un ambizioso progetto per la ricostruzione della Striscia di Gaza, devastata da conflitti, ha suscitato preoccupazioni e polemiche. Presentato ai funzionari dell’amministrazione Trump, il piano comprende nomi e loghi di oltre venti aziende, molte delle quali affermano di non essere state consultate o informate riguardo al loro coinvolgimento in questa iniziativa. Questa situazione ha sollevato interrogativi sulla trasparenza e l’etica delle partnership commerciali in contesti umanitari.
Il piano di ricostruzione e le aziende coinvolte
La presentazione del piano è stata elaborata da un gruppo di imprenditori che hanno contribuito alla fondazione della Gaza Humanitarian Foundation (ghf), l’organizzazione non profit che si occupa della distribuzione degli aiuti nella Striscia. Il documento include la creazione di un fondo chiamato Gaza Reconstitution, Economic Acceleration and Transformation, noto con l’acronimo great.
Coinvolgimento delle aziende
All’interno della presentazione, i loghi di giganti come Tesla, Amazon Web Services e Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (tsmc) sono stati utilizzati per evidenziare i benefici di un investimento privato nella regione. Tra i progetti proposti, si parla della costruzione di infrastrutture chiave come data center e gigafactory, insieme a progetti di ricostruzione delle infrastrutture e potenziali operazioni di peacekeeping nella Striscia di Gaza.
Wired ha contattato le aziende menzionate nel documento, scoprendo che nessuna di esse era a conoscenza dell’associazione al piano. Otto aziende hanno confermato di non avere mai avuto contatti con i redattori della presentazione e di non essere state informate della loro inclusione nel progetto.
Le reazioni delle aziende citate
Reazioni di sorpresa sono arrivate da diversi rappresentanti aziendali.
Arvid Stigland, responsabile delle pubbliche relazioni di Ikea, ha dichiarato: “La notizia ci ha colti di sorpresa. Non abbiamo autorizzato l’uso del nostro logo in questo contesto.” Anche un portavoce di tsmc ha negato qualsiasi legame con il piano, affermando che l’azienda non ha mai dato il consenso per l’uso del proprio nome.
Controversie e accuse
Il piano è stato ideato da figure influenti nel panorama imprenditoriale israeliano, creando preoccupazioni circa la sua legittimità e l’uso di nomi di aziende senza consenso. La ghf, fondata all’inizio del 2025, è stata accusata da Medici Senza Frontiere di cercare di bypassare i sistemi di distribuzione degli aiuti delle Nazioni Unite, e un ex appaltatore ha denunciato aggressioni contro civili palestinesi da parte del personale associato alla fondazione, accuse che la ghf ha respinto fermamente.
La visione futura e gli ostacoli
Il piano del great trust prevede una governance multilaterale a guida statunitense per il territorio di Gaza. La ghf giocherà un ruolo centrale nel coordinamento della distribuzione degli aiuti e nella costruzione di alloggi temporanei, in collaborazione con le Forze di Difesa Israeliane (idf). Tuttavia, l’approvazione da parte delle autorità israeliane per l’apertura di nuovi punti di distribuzione degli aiuti ha subito ritardi, complicando ulteriormente la situazione.
Investimenti e ricostruzione
Se il piano dovesse ottenere il via libera, la ghf e coloro a essa collegati potrebbero guadagnare una notevole influenza nella regione. Il documento prevede anche la creazione di una zona di produzione intelligente dedicata ai veicoli elettrici, evidenziando l’intenzione di attrarre investimenti tecnologici. Tuttavia, la priorità immediata rimane l’aumento degli aiuti umanitari, con Israele che ha imposto severe restrizioni sull’ingresso dei camion di aiuto a Gaza.
Attualmente, i limiti stabiliti dal trattato di pace consentono l’ingresso di un massimo di 400 camion al giorno, ma la realtà è ben diversa, con una media di soli 20 camion che attraversano il confine. Le risposte alla crisi umanitaria in corso devono quindi essere affrontate con urgenza, mentre la comunità internazionale osserva con apprensione l’evolversi della situazione nella Striscia di Gaza.