Perché dovremmo spendere l’1% del PIL per trovare un’altra Terra

scienze

Edoardo Amaldi fu un grande fisico e fu anche uno dei padri fondatori della ricerca spaziale in Italia ed in Europa. E allora, ecco l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) che, ossequiosamente, dedica proprio ad Amaldi il terzo dei moduli che manda, circa ogni due anni, sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Arrivato bene, grande successo tecnico.

Incipit idilliaco, tutto OK allora? No, assolutamente no: Amaldi (che io ho conosciuto bene) se fosse qui sarebbe il più incazzato di tutti. La ESA, con tutti i soldi che ha, non sa costruire un programma globale spaziale per l’Europa del futuro. Non si può basare il futuro spaziale della “più grande società della conoscenza al mondo” su un accrocco meccanico capace di attraccare da solo alla ISS: era nuovo dieci anni fa, adesso è già vecchio: lo sanno tutti che la ISS non ha futuro.

Altro di importante non c’è in Europa: l’esplorazione robotica di Marte in forse, niente per il volo umano, niente su propulsioni veramente innovative.

Dove vanno l’innovazione e la tecnologia dello spazio? Se lo chiedono, con un certo sgomento, scienziati e tecnologi di tutto il mondo. Perché, certo, a noi europei fa impressione la ESA, ma non è che la NASA del dopo-Shuttle navighi in acque migliori. E neanche la Russia, pure depositaria del più grande know-how spaziale per i voli umani, e neanche la Cina, disperatamente tesa a spettacolari risultati ma che deve ancora rifare tutti i passi (e gli errori e le incertezze) del vecchio progetto Apollo.

Parliamo soprattutto di volo umano nello spazio: senza volo umano, la nostra presenza nello spazio finisce: no astronauts, no party.

Il supporto pubblico alle risorse necessarie allo spazio è basato sul consenso, se non sull’entusiasmo, del taxpayer medio, che paga per vedere gente come lui/lei in orbita e poi un po’ per sognare un po’ per chiedersi come si usa una toilette spaziale. No taxpayer, no space. E senza spazio noi perdiamo una sorgente di innovazione e di tecnologia maggiore perfino di quella militare (che peraltro ci costa molto di più).

Proviamo allora a tracciare la roadmap tecnologica prima, e politico economica dopo, per un vero avanzamento della presenza umana nello spazio. Come le sfere celesti di Aristotele, anche lo spazio intorno a noi ha delle sfere ideali, i raggi delle quali che rappresentano i nostri confini tecnologici. Mi spiego: fino alla distanza della Luna, la “prima sfera”, gli esseri umani possono andare (lo hanno già fatto) con la propulsione chimica, cioè con l’energia liberata da reazioni chimiche di combinazione molecolare che ben conosciamo (ad es.

combustione). La velocità che è stato necessario imprimere alla (piccola) nave spaziale per la Luna è dell’ordine di poco più di una decina di km/secondo, sufficiente per andata e ritorno in una settimana.

Al di là della Luna, fino alla distanza di Marte o forse fino a quella degli asteroidi vicini, cioè la “seconda sfera”, l’uomo ha bisogno di energia più seria, cioè con maggiore resa energetica per unità di massa di carburante trasportato. E qui entra in gioco la energia nucleare proveniente da reazioni di fissione di nuclei pesanti (ad es. plutonio). Anche questo meccanismo di liberazione di energia lo conosciamo bene e saremmo, da subito (ripeto da subito) capaci di costruire una nave spaziale spinta dalla energia liberata dalla fissione nucleare. Sessant’anni di bombe atomiche da un lato, e di reattori a fissione dall’altro, ci hanno dato una solida base teorica e tecnologica. Se cominciassimo domani, per esempio con la tecnologia inventata da Carlo Rubbia, tra 10-15 anni andremmo di sicuro su Marte, al costo di circa un trilione.

Varrebbe la pena? Io penso certamente di sì: buttiamo via trilioni, a livello mondiale, in cose che ci danno ben meno, come guerre Iraq o Afganistan, o in giochetti bancari.

Dal punto di vista tecnologico, quello che ci manca oggi per raggiungere la seconda sfera è da un lato lo sviluppo di materiali resistenti alle altissime temperature e dall’altro, emozionante contrasto oltre che apparente contraddizione, la capacità di raffreddarli. Ma sono problemi ingegneristici: la fisica è risolta. Ripeto: potremmo andare su Marte, se lo volessimo. Scientificamente e tecnologicamente, siamo oggi molto più vicini a Marte di quanto non fosse Kennedy alla Luna nel 1961, e allora gli USA ce la fecero da soli in otto anni.

La velocità necessaria per andare e tornare in tempi ragionevoli (uno-due anni) dalla zona marziana è dell’ordine di poco meno di un centinaio di km/sec, e ricordiamo che a questa velocità bisogna spingere una nave comunque ben più grande di quelle per la Luna. Ecco perché non si può pensare seriamente ad andare al di là della Luna in modo chimico.

La “terza sfera” ha come raggio i confini del sistema solare. Vale la pena di esplorarla, prima di tutto per motivi scientifici (capire bene l’origine del sistema solare, per esempio) e poi per lo sviluppo fisico e tecnologico che richiede.

A noi non piacciono le cose facili, come diceva proprio John Kennedy.

Innanzitutto, per arrivare oltre Plutone, magari nella affascinante zona esterna di asteroidi e comete (che sono corpi rimasti intatti dall’origine del sistema solare e non sappiamo bene come sono fatti), ci vogliono velocità nettamente superiori rispetto a quelle che bastano per Marte. Bisogna andare a mille km/sec (già un 1/300 della velocità della luce) e portare a quella velocità una nave presumibilmente molto grande. Nella nave, infatti, un equipaggio umano dovrà sopravvivere bene per una decina di anni. Un problema fondamentale, in questo caso, sarà la protezione dalle radiazioni ionizzanti, sia solari sia cosmiche. Probabilmente una tale protezione richiederà forti campi magnetici molto localizzati, ma realizzati a basso peso e basso consumo. Una sfida tecnologica alla quale stiamo già pensando.

Ma la sfida più importante posta dalla terza sfera sarà il sistema di propulsione, ancora da pensare e da realizzare. Potrebbe essere basato sulla fusione nucleare, quella che tiene acceso il Sole e le altre stelle. Si tratta sempre di un metodo per estrarre energia dai nuclei, questa volta facendoli fondere insieme anziché spaccarli. In questo processo fisico la produzione di energia per nucleone (cioè alla fine per unità di massa) è decine di volte più efficiente che per il processo di fissione: il processo di fusione usa nuclei leggeri, come l’idrogeno o i suoi isotopi, deuterio e trizio.

Conosciamo bene la fisica della fusione: anche qui, ci facciamo bombe (quelle H) da 60 anni. Ma da decine di anni cerchiamo (invano) di controllare la reazione di fusione, per farla avvenire in modo non catastrofico e poterla sfruttare, per esempio, per la produzione di energia elettrica.

Per il controllo della fusione nucleare abbiamo una discreta idea della fisica necessaria, ma non abbiamo ancora, neanche sulla Terra, la tecnologia per estrarne una produzione controllata e continua di energia. Oggi, quindi, fare la fusione su di una nave spaziale è ancora solo un sogno. Vagamente, uno potrebbe immaginare che lo stadio a fusione sia uno stadio successivo a quello della fissione, proprio come avviene nelle bombe H. In ogni caso non c’e’ dubbio che la resa energetica della fusione permetterebbe il salto di velocità di un fattore almeno dieci necessario per il passaggio dalla seconda alla terza sfera: è, più o meno, lo stesso fattore che c’è tra l’energia specifica dei processi di fissione e fusione.

Lo sviluppo tecnologico necessario per la terza sfera, anche se ancora fuori dalla nostra portata, una volta raggiunto permetterebbe anche una vera e propria “colonizzazione” della seconda sfera.

Potremmo cioè andare su Marte in un mese o poco più, magari anche con navi da carico serie. Un po’ come la colonizzazione della Americhe quattro secoli fa.

Ma adesso lanciamoci fuori dal sistema solare. Pensiamo ad una “quarta sfera”, con un raggio di qualche anno-luce. Qui è tutto sogno, naturalmente, almeno per quanto riguarda la possibilità di viaggio umano. Non è sogno, invece, la ragione per andarci: è basata su recentissimi risultati astronomici. Abbiamo appena scoperto, infatti, che è normale che ci siano pianeti, anche rocciosi come la Terra, intorno a ogni stella dei cento miliardi della nostra Galassia. In un raggio di qualche anno luce, ci sono molte decine di stelle intorno al Sole: potremmo benissimo scoprire, con i telescopi che avremo tra pochi anni, che intorno ad una di esse gira una nuova Terra. Non male come motivazione per andarci.

Solo che, per ora, non abbiamo la minima idea né della fisica né della tecnologia necessarie per sviluppare un propulsore adatto. Possiamo solo andare al contrario: dire cioè che, viste le distanze, per la quarta sfera ci vorranno velocità almeno cento volte superiori a quelle necessarie per la terza sfera. E l’unica fonte di energia che conosciamo che vagamente si avvicina a queste possibilità è la annichilazione materia-antimateria. Che, guarda caso, ha un rendimento per unità di massa circa cento volte maggiore di quella della fusione nucleare, da usarsi per la terza sfera. Solo che qui, davvero, brancoliamo nel buio, al di là di questa semplice affermazione basata sulla fisica che conosciamo.

Fermiamoci qui, non siamo Dan Brown e non abbiamo la sua capacità di giocare con l’antimateria.

Facciamo solo notare che per la quarta sfera parliamo di velocità che sono una frazione significativa di quella della luce. Entrano in gioco correzioni relativistiche (per ora, rimaniamo sicuri che Einstein aveva ragione). Per cui si possono immaginare scherzi (veri) di dilatazione temporale, tipo che se per andare e tornare servono dieci anni di viaggio, e l’equipaggio al ritorno avrà dieci anni di più, sulla vecchia Terra il tempo scorrerà sempre uguale, e magari per lei saranno passati ottant’anni…chissà.

Se questo fenomeno relativistico possa essere sfruttato per il finanziamento della colonizzazione della quarta sfera, resta tutta da capire. Andrea Sommariva, economista spaziale, ha delle interessanti idee al riguardo, e certo una soluzione bisognerà trovarla. Anzi, se è vero che la seconda sfera (Marte) potrebbe essere ancora affrontata con metodi “tradizionali” di collaborazione tra le agenzie spaziali ed i governi esistenti (in fondo, è solo un trilione…), già dalla terza sarà necessario un radicale cambiamento economico-politico. Almeno per lo sviluppo e la gestione delle tecnologie necessarie alla esplorazione umana dello spazio bisognerà pensare, cominciando da subito, ad un organismo di coordinamento e di finanziamento mondiale. Si tratterà di dedicate una fetta (1%?) del PIL del pianeta Terra a cercarne un altro e a renderci capaci di farlo con sicurezza. Un governo mondiale? Forse no, ma una Agenzia Spaziale Mondiale con finanziamenti adeguati certo sì. Niente ci impedisce di farlo prima che torni la cometa di Halley nel 2062: anzi, per quella data potremmo già prevedere viaggi di osservazione da vicino proprio alla cometa stessa. Presa e seguita in volo al suo passaggio vicino alla Terra.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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Scritto da chef

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