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Oro e propaganda: la guerra in Sudan tra risorse strategiche e conflitti armati

L'oro e la guerra in Sudan: un intreccio devastante tra risorse preziose e conflitti armati.

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Dal aprile 2023, il Sudan è teatro di una sanguinosa guerra di potere, in cui l’esercito regolare, noto come Sudanese Armed Forces (Saf), e le Forze di Supporto Rapido (Rsf) si contendono il controllo del paese. La lotta, guidata rispettivamente dal generale Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan e da Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuto come Hemedti, ha già causato milioni di sfollati e un numero di vittime che oscilla tra le 40 e le 150 mila. In questo contesto, le risorse naturali sono diventate strumenti di potere politico.

Il ruolo strategico dell’oro nel conflitto

Nel cuore della provincia del Darfur, a Jebel Amer, i bulldozer delle Rsf scavano incessantemente nella polvere rossa, rivelando non solo una miniera, ma un simbolo della trasformazione della ricchezza naturale in arma.

La miniera di Jebel Amer è nota per il suo oro di alta qualità, gran parte del quale viene contrabbandato. Secondo Yale Environment 360, circa l’85% della produzione sudanese proviene da miniere artigianali o semi-industriali, molte delle quali sono controllate da milizie e intermediari. In questo scenario, l’oro è diventato un mezzo di scambio, di deterrenza e di ritorsione durante il conflitto.

L’economia di guerra e il contrabbando dell’oro

Attualmente, il Sudan vanta la terza riserva di oro in Africa, dopo Sudafrica e Ghana. Tuttavia, il colpo di stato del 2021 ha fatto crollare l’economia nazionale, trasformando la rete mineraria nella principale fonte di reddito per le fazioni armate. Un’inchiesta condotta da The Sentry ha rivelato come l’oro sudanese fluisca verso Dubai, attraverso una rete di società controllate da Hemedti.

Questo processo mira a convertire l’oro in valuta internazionale, eludendo controlli fiscali e sanzioni, seguendo un modello simile a quello di gruppi armati in Repubblica Centrafricana e Mali.

Le dinamiche del contrabbando e della disinformazione

Dal 2019, l’oro è diventato il vero motore dell’economia sudanese, con una produzione annuale stimata di circa 90 tonnellate. Tuttavia, solo una frazione di questo oro viene registrata ufficialmente, mentre circa il 70% viene estratto illegalmente. Per le Rsf, l’oro rappresenta il carburante logistico essenziale per finanziare miliziani, acquistare beni e armi. Per l’esercito regolare, l’oro è un modo per mantenere relazioni favorevoli sui mercati internazionali.

Il ruolo di Dubai e il contrabbando interno

Un’indagine condotta dal Progetto di Investigazione sulla Corruzione e il Crimine Organizzato (OCCRP) ha dimostrato che gran parte dell’oro sudanese passa attraverso le raffinerie di Dubai, dove viene mescolato con metallo acquistato legalmente, rendendo difficile tracciarne l’origine.

Sebbene gli Emirati Arabi Uniti negano un coinvolgimento diretto, i dati mostrano che nel 2024 hanno acquistato il 97% dell’oro venduto legalmente, mentre l’oro proveniente dalle zone controllate dalle Rsf viene commercializzato attraverso Libia, Ciadi e Sud Sudan.

La guerra digitale e la propaganda

Nel 2022, è emerso che la compagnia russa Meroe Gold, affiliata al Gruppo Wagner, estraeva oro nel Sudan centrale per inviarlo a Mosca. Questo oro è divenuto una valuta alternativa per eludere sanzioni e finanziare conflitti. Tuttavia, la filiera del contrabbando non si limita al mercato internazionale; esiste anche un vivace mercato nero interno, in particolare a Khartoum e Omdurman, dove l’oro viene venduto a prezzi informali, sottraendo ricchezze alla Banca Centrale.

Un’indagine del Digital Forensic Research Lab ha rivelato l’esistenza di una rete di oltre 200 account su X, che amplificano messaggi a favore delle Rsf. Questi account operano in modo coordinato, utilizzando hashtag identici e comportamenti tipici delle operazioni di influenza digitale. Nel frattempo, l’esercito sudanese ha risposto con blackout digitali e restrizioni nella rete. Secondo Amnesty International, tali blocchi ostacolano la fornitura di aiuti e la raccolta di prove sui crimini di guerra.

Oggi, oltre 12 milioni di sudanesi sono sfollati e 30 milioni dipendono dagli aiuti umanitari. Il conflitto ha ridotto l’accesso alle informazioni e ha accentuato la censura digitale, mentre le milizie restano iperconnesse, diffondendo propaganda online e controllando la narrativa anche oltre i confini. In questo contesto, il Sudan si trova a vivere un paradosso: la sua struttura informativa è più robusta di quella umana, mentre il conflitto si combatte sia nel deserto che nel cyberspazio. In entrambi i casi, chi controlla ciò che brilla ha la meglio.

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Scritto da Staff

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