Marthia Carrozzo: La poesia al tempo della Rete

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Dalla mia più recente esperienza al Next – La Repubblica delle Idee- alla rete, ancora per parlare di Poesia in un ambito che parrebbe esserLe estraneo. Ancora una volta per osare questa modalità dello sguardo in disuso, romantica e retrò, certo, ma che di certo suscita non pochi interrogativi.

Invitata da Riccardo Luna a far da madrina ad un evento come quello che, sul Palco del Petruzzelli, ha voluto celebrare i talenti dell’innovazione pugliese, ho osato dire in versi un fiat! di solo fiato, che fosse incipit a rinnovare, a rinnovarci ed innovarci, ripartendo, esattamente dalle parole.

“Ricominciami, amore, dai primi vagiti”.

Le parole, si, esattamente. Minime, ma essenziali a nominare. Questa, la mia proposta e sfida personale, raccolta da Riccardo Luna, lungimirante di attenta e fervida curiosità, che ha voluto inserire una poetessa “tra” gli startupper pugliesi più innovativi ( esperienza straordinaria di altissimo valore umano e di grandi input anche quando, dopo la mia breve performance ho voluto ritrovarmi frontepalco, a seguire lo spettacolo dell’innovazione dalla platea di un Petruzzelli “in fiamme” dalla bellezza, tanto era gremito, attento, attivo; questo il suo invito quando, in una telefonata prima del Next per La Repubblica delle Idee mi disse di aver scelto di aprire l’evento di Bari in versi rifacendosi ad una citazione di Phil McKinney: “innovation is more poetry than science”.

Tutta la nominatio adamitica dava, del resto, il via alla Genesi; creava, nell’istante esatto in cui nominava.

Proponeva, apriva possibilità, tendeva un filo di funambolo sino all’orecchio attento di chi avesse ascoltato, incubato e successivamente gestato quel suono sino a partorirne un sogno. Un sogno, si, non solo un segno.

Perché serve a questo la poesia, se innovazione deve essere: serve a restituirci la capacità di sognare, a restituirci il coraggio di proiettarci nei versi, di dire, recitare, professare, esattamente. E, come detto, la poesia non servirà a produrre profitto, forse, ma, di certo, saprà riempirci, generare ricchezza, germinarla, della stessa materia dei sogni.

Perché non è niente di nebuloso, la poesia, niente di incorporeo, ma, al contrario, è tutta corpo in ogni sua singola parte.

Viva, ritmica, tamburellante. Ed eccola, allora, la poesia, al tempo del rete: di connessione in connessione, ben oltre il valore oggettivo dei testi ( non è questo, il punto, adesso) , ma per la valenza stessa delle parole germinate, dei sogni detti, condivisi, moltiplicati in fiati ad ogni connessione, appunto.

Ché la poesia è, da subito, il corpo stesso del poeta; il corpo stesso di una comunità tutta a fargli cerchio intorno, riverberarne il respiro, crederci, smembrarlo, divorarlo nel banchetto totemico della condivisione, quindi moltiplicarlo, fargli rete, appunto. Per nulla, irretirlo, anzi.

E allora, eccola, la poesia, ai tempi del “net”: reticolato magnifico di vulnerabilità assunta come biglietto da visita. Come dire che il poeta respira come se abbracciasse, che ad ogni respiro allarga il costato in abbraccio e accoglie, e coglie.

Si predispone al rischio, accetta di aggiungere un altro paio d’occhi al suo, ad ogni connessione, accetta d’innovarsi. E coglie occhi, orecchi tesi, fragilità tutte umane che chiedono udienza, che chiedono, ancor più, proprio voce. E allora, eccola, la poesia.

Che è proprio questo, oggi, il significato più intimo dell’innovazione di sé , di volta in volta a rischiarsi, senza più concedersi il tempo di rimandare, ma accettandolo, quale rischio, ogni volta, accettandone l’invito: perdere tutto, per potersi rinnovare. Disperdersi in fiato, per poter nuovamente attecchire, germinare.

Lasciarsi portare, dal vento, come semi, o dalla rete, di maglia in maglia, di connessione in connessione. Farsi messaggio, missiva espressa di quel nuovo sogno nominato perché sia. Farsi voce, nella rete, in pixel di luce spalmata, ma in luce, appunto e vivi, ben oltre la pagina scritta.

Ché la poesia è anche radice. E resta. Nell’era degli “amori liquidi” magistralmente fermati da Bauman, diventa una necessaria vestale a inchiodare l’amare, a celebrarne il rischio, il salto, l’osare, ancora.

Ché è professione di sé, la poesia. Lega senza annodare, Perché dice, appunto, ha il coraggio di farlo.

E allora, è “lego” il verbo esatto, che , da ellenica radice, non solo si limita a “dire”, ma raccoglie, riunisce, attorno al postmoderno fuoco centrale della rete. E fa calore, ben oltre le distanze incolmabili di un etere sconfinato.

Eccola, a supplire alla mancanza di legami, a proporre un momento denso di riflessioni umanissime, di connessione in connessione a farsi tessuto epidermico tangibile agli occhi, se poi, come scriveva Barthes anche “Il linguaggio è una pelle: io sfrego il mio linguaggio contro l’altro. È come se avessi delle parole a mo’ di dita, o delle dita sulla punta delle mie parole”.

Con sguardo forse un po’ retrò, allora, termino la mia riflessione nello stesso modo in cui accoglievo il lettore nel mio secondo libro “Pelle alla Pelle, dimore di mare e solo sensi” (LietoColle, 2009), ripensando così alla possibilità che la parola ha, ad oggi, di rinnovarsi ed innovarsi e di innovare noi, con lei, se lo vorremo, con lei, appunto, a “fare rete”, facendosi, come la pelle, appunto, ponte di possibilità inesplorate:

“Mi sono chiesta più volte cosa restasse della pelle, cosa restasse dopo, oltre il non poterla più scrivere, più dire: abusata, svilita, dall’uso cosmetico e quotidiano.

Quest’oggetto-senso indefinito sempiterno, illimitato limite di concrezioni luminose e pigmenti eletti dallo sguardo o da altra pelle.

Derma.

Ricerca di parola che apra il derma e lo significhi. Parola che risuoni in bocca, nel canale auricolare, nella gola, nel ventre, e si mischi al bolo. Parola di consistenza inesatta, dentro: guanto rivoltato, calcarea secrezione, sferetta satinata che sbatte scrivendo i perimetri del tatto.

E ancora, a sottrarre, antenna rice-trasmittente del sonno, scarnificato high score rosa carne, finemente lampeggiante.”

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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