Le relazioni virtuali tra sesso e giurisprudenza

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La nostra vita continua a trasformarsi grazie alla tecnologia. E l’amore a quanto pare non fa eccezione. Ora sempre di più grazie alle tante applicazioni dedicate agli Incontri o all’amore vero e proprio (che oggi sono più di 500 tra le quali lo storico Badoo, il moderno Tinder, il cugino Booble, la geolocalizzante Happn, l’immaginifico Lovoo, il cafoncello Twoo, il più serio Meetic ecc.) i legami non restano più nella dimensione digitale ma diventano sempre più reali. E la ricerca, facilitata dalla tecnologia, rischia di diventare ossessiva. La ricerca della persona migliore, da abbandonare se del caso con un click.

RAPPORTI AL TEMPO DEI SOCIAL

Andrea De Carlo nel suo romanzo Cuore Primitivo scrive:

“Non sarebbe stato più interessante parlare dell’eccesso di opzioni in campo sessuale, dovuto alla prevalenza dei social network sui rapporti reali e favorito dalla crisi inarrestabile dei riferimenti morali? Di come nel sistema pornografico consumista in cui viviamo chiunque ormai possa procurarsi un partner con la stessa assenza di sforzo e coinvolgimento con cui ordina un gadget qualunque su Amazon, per sostituirlo con un altro migliore o semplicemente diverso alla prima occasione? Di come avere (o essere convinti di avere) una scelta illimitata di immagini e informazioni personali a portata di click cancelli qualsiasi senso di destino negli incontri, abolisca la sorpresa, annulli l’attesa e alla fine il desiderio stesso…?”

Sicuramente De Carlo pone dei quesiti interessanti ma non sembra aver provato quello che scrive, probabilmente aiutato dall’aurea dello scrittore famoso e belloccio che non ha certo bisogno dei social network per incontrare persone nuove.

Chi frequenta questi luoghi sa bene che invece è tutto dilatato, amplificato, sottolineato, evidenziato; le attese, i desideri (che diventano ossessivi come in nessun altro luogo) gli incontri e pure gli abbandoni. La quantità delle possibilità aumenta anche la qualità delle stesse, che diventano risultati (spesso soddisfacenti) quando se ne conoscono i meccanismi.

SEXTING

Sotto un profilo giuridico impossibile non citare il sexting, cioè lo scambiarsi immagini sexy con il partner o con uno sconosciuto considerato una devianza comportamentale nel Glossario dei comportamenti devianti on line (iGloss@ 1.0) emanato dal Ministero della Giustizia e realizzato dall’Ufficio Studi, Ricerche e Attività Internazionali del Dipartimento Giustizia Minorile e dall’IFOS Master in Criminologia clinica e Psicologia Giuridica, rivolto non solo agli operatori dei servizi sociali, sanitari e giudiziari ma anche ai giovani e ai loro genitori e pubblicato il 6 Maggio 2015.

Il sexting è pericoloso perché può condurre al compimento di reati, come il trattamento illecito di dati sensibili, la diffamazione e addirittura il ricatto (basti pensare alla diffusione via whatsapp o social del materiale pornografico).

In questo scenario piuttosto complesso sembra comparire una buona notizia per chi intrattiene flirt virtuali: la separazione non può infatti essere addebitata a chi ha una relazione sentimentale via internet, a meno che non sia la vera causa della rottura del rapporto in base a quanto affermato recentemente dalla Corte di Cassazione che, con l’ordinanza n. 14414 del 14 luglio 2016, ha respinto il ricorso di un uomo che contestava alla ex una relazione via web.Non è infatti sufficiente, secondo la Suprema corte, la sola violazione dei doveri previsti a carico dei coniugi dall’art.

143 c.c. ma occorre verificare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale ovvero se essa sia intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza.

ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE

Nel caso in esame, il marito aveva chiesto l’addebito della separazione alla ex moglie per avere quest’ultima iniziato una relazione via web (mediante Facebook) con un altro uomo. La Corte aveva tuttavia rigettato l’appello, ritenendo che la dimostrazione della relazione via internet dell’ex moglie non sarebbe stato un fatto giustificativo dell’addebito, mancando una prova sull’efficienza causale di tale fatto rispetto alla crisi dell’unione coniugale.

Sul punto, la Suprema Corte ha ritenuto che ai fini della pronuncia di addebito non è sufficiente la sola violazione dei doveri previsti a carico dei coniugi dall’art. 143 c.c., ma occorre verificare se tale violazione abbia effettivamente assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale ovvero se essa sia intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza.

Nel caso in esame, come correttamente rilevato dalla Corte d’Appello, la presunta relazione virtuale dell’ex moglie è intervenuta solo quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza, dovuta anche ad episodi di violenza posti in essere dall’ex marito, documentati da certificati medici.

IL FALLIMENTO DELL’UNIONE

Ritenendo dunque che il fallimento dell’unione coniugale non sia addebitabile ad un comportamento specifico della moglie ma a reciproche difficoltà nel rapporto tra i due coniugi risalenti nel tempo, la Corte ha dunque rigettato il ricorso, con condanna delle spese del giudizio di legittimità. Ma se ben si può essere d’accordo con questa sentenza non essendo l’elemento relazione virtuale il motivo effettivo della separazione, occorre rilevare che l’ingresso dei social nelle controversie di separazione e divorzio è ben più importante di quanto si creda.

Risulta ormai pacifico come possa essere provato il tenore di vita di una delle due parti attraverso i suoi post, tenore di vita che per esempio potrebbe essere del tutto contrastante con quello dichiarato agli atti o ammesso in fase di giuramento

Innanzitutto si deve rilevare l’aspetto della utilizzabilità dei post nella fase istruttoria. Pare che i giudici di merito in prima istanza e poi anche quelli di di legittimità abbiano accettato il cambiamento delle forme di comunicazione tra individui. Infatti, risulta ormai pacifico come possa essere provato il tenore di vita di una delle due parti attraverso i suoi post, tenore di vita che per esempio potrebbe essere del tutto contrastante con quello dichiarato agli atti o ammesso in fase di giuramento. Per esempio se il separando si dichiara nullatenente ma mediante la visione dei suoi post si evince un tenore di vita fatto di viaggi, abbigliamenti firmati, acquisto di preziosi ecc. naturale che ciò contrasti con quanto asserito in istruttoria ed è di tutta evidenza che il social si offre al Giudice quale mezzo di verifica.

PROFILI SOCIAL E PROVE

In linea generale si può affermare che la giurisprudenza ha ritenuto che le informazioni pubblicate sul profilo personale siano spesso utilizzabili come prove documentali nei giudizi di separazione, naturalmente osservando come il soggetto utilizzatore se le sia procurate. Se lo ha fatto senza artifizi e cioè senza ricorrere ad amici compiacenti o a profili fasulli oppure tali foto siano semplicemente state postate in modalità pubblica saranno certamente utilizzabili anche sotto un profilo di osservanza alla disciplina privacy.

MONICA GOBBATO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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