Le piante si connetteranno a Internet e ci diranno cosa c’è che non va

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Lo chiameremo forse Greenternet, o semplicemente l’Internet delle piante: un network di biosensori vegetali collegati a Internet e in grado di trasmettere alla rete i valori delle decine di diversi parametri ambientali che vengono continuamente rilevati dagli alberi.

Una rete vivente per monitorare in tempo reale la qualità dell’aria nel luogo in cui viviamo, prevenire disastri ambientali, tenere sotto controllo l’inquinamento e interfacciarsi con i sistemi di comunicazione umana. Insomma alberi come centraline elettroniche, ma più economiche, più affidabili e naturalmente più ecologiche di quelle diffuse oggi nelle nostre città per il monitoraggio della qualità dell’aria.

L’idea è di Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio internazionale di Neurobiologia Vegetale dell’Università di Firenze e l’Europa è già disposta a scommetterci su. Pochi mesi fa le ricerche sull’Internet delle piante sono state infatti finanziate dai FET OPEN, uno strumento di sostegno alla ricerca sempre aperto (open, quindi senza scadenze o bandi) che l’Unione europea riserva esclusivamente alle Future Emerging Technologies (le FET appunto).

Si tratta dei progetti più innovativi e promettenti sfornati dalle università di tutta Europa.

Un milione e mezzo di euro in tre anni per sviluppare insieme all’Università di Southampton, al London Center for Mathematical Science, allo spin-off universitario romano Wlab e all’azienda spagnola Advantic sistemas y servicios una scatoletta da attaccare agli alberi per decodificare e trasmettere i segnali che questi producono e si scambiano continuamente. Un dispositivo piccolo ed economico, che conterrà un chip con algoritmi in grado di decifrare i segnali delle piante e trasformarli in modo da renderli comprensibili a noi umani.

Abbiamo iniziato a maggio e per ora stiamo raccogliendo un database di tutti i segnali che le piante emettono in funzione di particolari stimoli – spiega Mancuso – In questa fase abbiamo raccolto in laboratorio diverse piante che stiamo stressando in vario modo, per esempio esponendole a sbalzi di temperatura o soffiandogli addosso gas inquinanti.

Lo scopo è quello di registrare le risposte elettriche a questi stress, poi quando avremo raccolto un ricco database passeremo i dati ai nostri partner che lavoreranno per decodificarli. Per dare un’idea più chiara di quello a cui stiamo lavorando, diciamo che stiamo tentando di tradurre una lingua ignota e abbiamo iniziato a raccogliere alcune parole associandole a dei significati. Altri poi ci aiuteranno nel lavoro di traduzione matematica di queste informazioni”.

Un lavoro di codifica di enormi proporzioni, che si basa però su un’incognita, cioè sull’ipotesi che la “lingua” vegetale sia ricca di parole e non sia invece limitata a tre-quattro espressioni che le piante usano per molte diverse occasioni.

Cosa accadrebbe se le piante dicessero sempre le stesse cose?

Ovviamente questo rischio esiste, dato che ci muoviamo in un settore completamente inesplorato – continua Mancuso – le piante in effetti potrebbero anche comunicare un range ristretto di informazioni.

Ma se riuscissero a dirci almeno quattro cose come ‘ambiente buono’, ‘ambiente medio’, ‘ambiente cattivo’ e ‘pericolo’ sarebbe già un grande successo. Non solo ci aiuterebbero a tenere sotto controllo l’aria che respiriamo ma per esempio potrebbero avvisarci dell’arrivo di una nube tossica, di una valanga o darci informazioni su un terremoto”.

Insomma, un giorno non lontano il platano all’angolo potrebbe avvisarmi della presenza di troppe PM10 nell’aria e consigliarmi di uscire in un altro momento. E un abete in montagna potrebbe mandare sms agli sciatori avvisandoli dell’arrivo di una valanga.

Oggi il monitoraggio continuo della qualità dell’aria è considerato un tema di importanza cruciale per la salute e la sicurezza delle persone – spiega Mancuso. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che l’inquinamento dell’aria nelle città causa circa 1,3 milioni di morti ogni anni, che potrebbero essere ridotti del 15% abbassando la quantità di PM10 da 70 a 20 microgrammi per metro cubo. Con le tecnologie di cui disponiamo attualmente, un monitoraggio dell’aria così efficiente ed esteso è però impossibile”.

L’obiettivo è quello di arrivare tra tre anni alla produzione di un prototipo di dispositivo elettronico che costi meno di dieci euro e consenta di collegare virtualmente ogni albero alla rete Internet, trasformandolo in una centralina ambientale.

Secondo alcune stime, in Italia gli alberi sono più di dodici miliardi – dice Mancuso – e in questo modo si potrebbe costruire un vero sistema di comunicazione vegetale. Le piante sono spesso considerate come semplici automi che non sono in grado di percepire l’ambiente che le circonda né di comunicare con altre piante o animali. Gli studi condotti negli ultimi anni, al contrario, hanno dimostrato invece che sono organismi viventi estremamente sensibili, in grado di monitorare numerosi diversi parametri chimico-fisici e di percepire i segnali molto prima rispetto agli animali. Questa maggiore sensibilità si deve al fatto che non possono spostarsi, e quindi devono scambiarsi rapidamente informazioni in merito ai cambiamenti in atto nell’ambiente per potersi adattare alle nuove condizioni”.

Se davvero riusciremo a tradurre il linguaggio delle piante, di certo prima o poi proveremo anche a usare la loro rete di comunicazione per trasmettere i nostri messaggi, sostituendo o affiancando i nostri contenuti a quelli prodotti dai vegetali. Speriamo solo di avere altrettante cose interessanti e utili da dire.

Roma, 05 agosto 2012ALESSANDRA VIOLA

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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