L’Agenda Digitale e la banda ultra larga che potrebbe diventare realtà

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Vale (almeno) 10 miliardi e mezzo di fondi pubblici, più 6 miliardi di investimenti degli operatori privati, il programma con cui il Governo vuole cambiare l’Italia a forza di iniezioni (da cavallo) di digitale. Da qui al 2020.

Agenda digitale

Diciamo “almeno” perché il quadro si sta formando proprio in questi giorni, con i primi documenti ufficiali, ma non può che essere parziale. Ad oggi sul tavolo ci sono il Piano nazionale banda ultra larga e Crescita digitale, in consultazione pubblica dal 20 novembre al 20 dicembre, rispettivamente per 6 e 4,5 miliardi di euro di fondi pubblici 2014-2020. Ma come ha spiegato Paolo Coppola, il consulente politico all’Agenda, i piani riguardano solo le cose che il Governo intende fare con i fondi europei.

Paolo Coppola (foto Corrierecomunicazioni.it)

Comunque l’ossatura del futuro almeno c’è, ormai, dopo che esperti e addetti ai lavori l’hanno invocata per mesi. Un altro possibile equivoco da chiarire: i soldi di cui abbiamo parlato sono il fabbisogno ufficiale dei due piani. Non è certo – ma è fortemente auspicabile – che il Governo e le Regioni alla fine metteranno quanto richiesto.

Banda ultra larga

Del piano banda ultra larga abbiamo dato anticipazioni già a fine ottobre (a un mese dall’inizio della consultazione), di fatto poi confermate nella sostanza. La sostanza è che i 6 miliardi di euro serviranno per portare i 30 Megabit a tutti e i 100 Megabit all’85% della popolazione entro il 2020 con un misto di fondi non solo europei (Fesr e Feasr), ma anche nazionali e regionali.

Non solo pubblici (6 miliardi di euro), ma anche privati. Le stime del ministero dello Sviluppo economico è che per quell’obiettivo gli operatori dovranno mettere altri 6 miliardi di euro; ufficialmente però i loro piani industriali si fermano, per forze di cose, al 2016 e totalizzano 2 miliardi di euro.

Bisogna insomma sperare che negli altri quattro anni (2017-2020) investano di più. Oppure – certo – che le stime siano esagerate perché lo sviluppo tecnologico farà progressi maggiori del previsto riducendo i costi di realizzazione

Altri fattori che riducono i costi sono il coordinamento della spesa, le semplificazioni burocratiche, ma il piano banda ultra larga ne tiene già conto. Ricordiamo infatti che secondo precedenti stime dello stesso ministero, sarebbero serviti 15 miliardi di euro per gli stessi obiettivi.

La scommessa, insomma, è che ne serviranno meno di quanto previsto prima grazie all’evoluzione tecnologica e ad azioni di sistema (coordinamento, semplificazioni).

Una buona notizia dei giorni scorsi è che il cda di Telecom Italia ha deliberato a favore di un maggiore impegno verso reti 100 Megabit, laddove finora si era concentrato invece su tecnologie Vdsl2 che assicurano velocità inferiori. Secondo il piano banda ultra larga e i parametri della commissione europea, i 100 Megabit si garantiscono solo con fibra fino alla base del palazzo, anche se è possibile dare prestazioni vicini a quel valore anche con fibra fino all’armadio. Non è finita, perché l’altra incognita – oltre a quella che riguarda gli investimenti dei privati – è quanto veramente il Governo scommetterà di tasca propria sul piano. Che infatti per buona parte si reggerà, oltre che sui fondi europei, sul Fondo Sviluppo e Coesione, sulle cui allocazioni ancora non c’è chiarezza.

Crescita digitale

Questa stessa incognita grava sul piano Crescita digitale. All’interno ci troviamo tutte le cose che siamo già abituati a identificare con l’agenda digitale, ma ci sono anche elementi nuovi e interessanti. Il primo è la tabella dei fabbisogni stimati, dove possiamo vedere che il grosso dell’investimento andrà per completare il sistema pubblico di connettività e per dare il Wi-Fi a tutte le PA, comprese le scuole: 1,4 miliardi di euro. Per la Scuola digitale ci sono ulteriori 30 milioni di euro. Al secondo posto, per investimenti, la razionalizzazione del patrimonio Ict pubblico: 950 milioni di euro. Dalla quale, secondo il Politecnico di Milano è possibile ottenere risparmi per 5,6 miliardi di euro. Adesso infatti c’è un grande caos IT tra le pubbliche amministrazione, frutto di una totale assenza di coordinamento tra gli enti locali e tra queste e lo Stato centrale.

Paolo Barberis

Al terzo posto per fabbisogno di spesa troviamo a pari merito due voci: la Sanità digitale e Italia Login, per 750 milioni di euro ciascuna. La digitalizzazione della Sanità è cosa ben nota e già in corso, verso il fascicolo sanitario elettronico, le ricette elettroniche, le prenotazioni e i referti online eccetera. È Italia Login la vera novità. Ecco come ce la presenta Paolo Barberis, scelto come consulente all’innovazione dal Premier Renzi e dal ministro Marianna Madia, premettendo che siamo ancora a livello di bozza di progetto: “La nostra visione è un profilo per i servizi al cittadino, un luogo unico dove il cittadino riceve e invia tutte le comunicazioni con le PA e ne conserva lo storico. Accede a tutti i servizi via via disponibili, riceve avvisi di scadenze, effettua e riceve versamenti e ne conserva lo storico. Archivia i propri documenti, interagisce con l’anagrafe digitale, esprime valutazioni su servizi e fornisce feedback e suggerimenti. Pone quesiti e riceve soluzioni con un meccanismo di trouble ticketing misurato”.

La speranza è di condurre per mano ogni cittadino, anche quelli che ora sono analfabeti digitali (40% della popolazione, record europeo). E quindi instaurare un circolo virtuoso portando su internet tutta la popolazione, fino a eliminare (o quasi) il bisogno di un rapporto analogico e cartaceo con le pubbliche amministrazioni

Probabilmente vi sembrerà molto ambizioso, ma è l’obiettivo da perseguire. Perché è lo stesso a cui mirano i principali Paesi sviluppati (e sono più avanti di noi). E perché solo con la logica dello switch off si possono sposare i vantaggi del digitale: l’ha dimostrato l’esperienza della fatturazione elettronica, obbligatoria verso la PA centrale da giugno.

Questo è forse il solo grande esempio di Agenda digitale già realizzato in Italia a livello nazionale. Si impone una scadenza, si aiutano i soggetti svantaggiati a mettersi alla pari, ma poi la si rispetta. Senza rinvii “alla italiana”. È la linea adottata da questo Governo e dall’Agenzia per l’Italia digitale per trasformare l’Italia. Certo, provocherà tensioni e contrasti nei gruppi sociali resistenti e obiezioni. Alcune di queste saranno fondate e richiederanno aggiustamenti o misure di supporto al cambiamento. Appunto come sta avvenendo con la fattura elettronica. Ma le difficoltà non devono essere un alibi per rinunciare ai piani. Sarebbe un grave danno. Per tutti.

ALESSANDRO LONGO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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