La mappa italiana della nuova manifattura

lifestyle

La mappa dei Fablab italiani si allarga e si allunga, tra quelli in essere, in fieri e in cerca di spazi e mecenati. Che cosa sia un Fablab forse è cosa nota, almeno al pubblico di CheFuturo!, ma quello che un Fablab può essere in potenza, oltre la definizione purista, è potenzialmente tutto da inventare.

Nati per la prima volta al MediaLab del Massachussetts Insitute of Techology, da una collaborazione tra Grassroots Invention Group e il Center for Bits and Atoms (CBA) , i FabLab sono piccole botteghe per la fabbricazione digitale. Dotate di strumenti e macchinari flessibili, generalmente controllati da computer, possono lavorare su diverse scale di grandezza e differenti materiali e possono produrre anche oggetti tecnologici, generalmente concepiti come prerogativa della produzione di massa.

I Fablab invece hanno dimostrato la possibilità di rendere in grado i singoli di creare dispositivi intelligenti. Luoghi di culto della terza rivoluzione industriale, hanno vari modelli, a seconda del contesto in cui nascono e del modello di business che adottano. Esistono i Fablab Design Research, come quello del MIT, ossia nati come centri di ricerca all’interno di strutture universitarie; i FabLab Incubatori, luoghi per favorire e sviluppare idee per talenti locali e giovani imprenditori; i Fablab Workshop, community driven e destinati prevalentemente alla formazione;quelli invece orientati alla Consulenza, piuttosto che organizzati come Centri Servizi o Studi di Progettazione condivisi tra piccole imprese.

Nella ricerca a cui ho partecipato in collaborazione con il Mobile Experience Lab del MIT – che verrà presto presentata e pubblicata – oltre a descriverne i modelli, quello che si è voluto approfondire è l’impatto che questo tipo di strutture possono avere sui settori tradizionali dei distretti produttivi e dell’artigianato.

Quello che poi mi piacerebbe approfondire, considerando la ricerca come un punto di partenza e non di arrivo, è il tentativo di approntare una sorta di Fablab Cookbook, ossia un libro di ricette in cui i vari ingredienti, i vari modelli, possano essere cucinati insieme componendo varie ricette, a seconda dei gusti e delle esigenze dei commensali.

Di sicuro l’idea di Fablab che io oggi mi sento di condividere maggiormente è quella che va in accordo con la visione che ne dà Stefano Micelli, ossia di piattaforme di contaminazione tra saper fare, tecnologie, professionisti, studenti, designer e consumatori. Le potenzialità per la manifattura non vanno solo nell’ordine di rendere i prodotti più smart e tecnologici, ma anche di rinnovarli dal punto di vista del design e poterli modificare grazie all’apporto di nuove idee e al confronto diretto con i consumatori.

Insomma, in questo panorama ibrido, che per quanto mi riguarda non vede nella stampa 3D il solo elemento di riscatto del nostro sistema manifatturiero, le potenzialità di innovare processi e prodotti sono le più svariate e possono essere abilitate dall’esistenza di luoghi fisici aperti alla collaborazione e alla condivisione di conoscenze e mezzi.

La sensibilità a questi temi in Italia è piuttosto spiccata, trainata dalla figura di Massimo Banzi e sostenuta da numerosi esponenti della comunità scientifica e ormai anche dai massmedia. Ma l’elemento di maggior interesse oggi, è guardare alla comunità di fabbers, che sta vibrando da nord a sud, a partire da Torino (sede del primo Fablab italiano), alla nuova realtà superattiva di Reggio-Emilia (che sta già sperimentando forme di contaminazione con il fitto tessuto produttivo emiliano romagnolo), fino a Trento (dove sta nascendo un Fablab sotto la guida esperta di Massimo Menichinelli). In cerca di una sede e di sostegno economico Milano (promosso da Alessandro Masterdotti di dotdotdot, con la nostra Zoe Romano), Bologna, Firenze e ancora i Fablab in startup di Novara, Pisa, Roma, Napoli; il Mediterranean Fablab di Cava dei Tirreni e l’ultimo, in ordine geografico, di Palermo.

Oltre ai luoghi, innumerevoli sono anche le iniziative in campo per sostenere questo nascente movimento “rivoluzionario”. Il tentativo, promosso da Andrea Danielli di un coordinamento dei fabbers in WeMakeItaly e tutte le iniziative, dagli appuntamenti appena avvenuti al Fuorisalone e al Parmacamp , a quelli imminenti di Firenze, con i Digital Makers alla Mostra dell’Artigianato.

Proprio qui, da oggi e sino al 28 aprile, si terranno 30 workshop, all’interno del primo Popup Fablab appositamente allestito in fiera da Fablab Firenze e l’incontro dei Fablab italiani, con Massimo Menichinelli, Enrico Bassi e tanti altri fabbers.

Il “rinascimento artigiano”, tuttavia, non passa solo dall’ibridazione tra la manifattura e la tecnologia, ma anche da una nuova attenzione alla produzione umana, al suo racconto e alla rappresentazione di una cultura della qualità e dell’unicità; il tutto grazie all’utilizzo del web come piattaforma abilitante e come nuovo canale di commercializzazione. Questo sarà l’oggetto del convegno CNANeXT che si terrà sempre il 23 aprile a Firenze.

Quindi, se i Contamination Lab introdotti dal Decreto Crescita 2.0 del Governo Monti, finanziati oggi con un bando del MIUR per il Sud Italia, sono concepiti come luoghi di contaminazione che promuovono la cultura dell’imprenditorialità, dell’innovazione e nuovi modelli di apprendimento, noi vogliamo che i Fablab assumano lo stesso ruolo e la stessa attenzione da parte delle istituzioni, quali piattaforme fisiche di contaminazione e innovazione per il rilancio della manifattura italiana. E la storia continuerà…ne siamo certi!

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments

What do you think?

Scritto da chef

innovaizone

Ecco le aziende italiane più attente ai consumatori su Facebook

innovaizone

Semplificazione e servizi, l’Università di Torino online con SPID