La bimba siriana e 8 foto che “parlano” grazie ai social (e perché)

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Non lo dimenticheremo più lo sguardo innocente e disarmato di Hudea, la bimba siriana di 4 anni, immortalata con le mani in segno di resa, davanti all’obiettivo della macchina fotografica, scambiato per la canna del fucile. Quel viso paffutello, quei capelli a caschetto, quelle labbra chiuse, mute, ritratte dal fotografo Osman Sagirli nel campo profughi di Atmeh, sono entrate a far parte di noi.

Foto di Osman Sagirli (fonte: horsemoonpost.com)

E’ bastato un tweet della fotoreporter Nadia AbuSahan per renderla nostra. In pochi giorni quell’immagine, quegli occhi spaventati e quelle braccia alzate, ha fatto il giro del mondo: più di 11.000 retweet, oltre 5000 condivisioni su Reddit. Ora quella fotografia non appartiene più a una persona ma a tutti.

Appena vista l’abbiamo “ascoltata”: sì, perché quell’immagine parla.

Racconta del dramma della Siria, di un viaggio di 150 chilometri fatto da Hudea con sua madre e i suoi fratelli per scappare dalla morte, per cercare speranza. Quella foto più di tante parole ci svela come si vive in un campo profughi e riesce a confidarci le emozioni di quella bimba, il terrore che prova. Chi ha ritwittato quello scatto lo ha voluto fare per non essere indifferente, per dire la sua, magari per denunciare.

Quell’istante immortalato da Osman Sagirli e pubblicato a gennaio sul quotidiano turco “Turkiye” poteva restare una delle tante immagini di un fotoreporter: il “potere” di Internet l’ha resa parte della storia e di ciascuno di noi.

Era già accaduto in passato con fotografie che non ritraggono solo scene di guerra. Anche in Italia, ad esempio. Il più recente è forse lo scatto di una manifestazione No-Tav dove una ragazza bacia un poliziotto.

Foto: AFP – ilgiorno.it

Lui con un volto tenero socchiude gli occhi dietro il casco. Lei, brunetta, con un volto dolce, una frangetta disordinata, un paio di occhiali, stringe quel casco che li divide con tenerezza e sporge le labbra per baciarlo. Quel gesto, forse provocatorio, forse davvero tenero o nato dalla volontà di spezzare la violenza, venne condiviso su Facebook e ritwittato migliaia di volte tanto da arrivare sui giornali, in tv.

Siamo stati noi a decidere che quell’abbraccio diventasse parte della storia.

Forse ha ricordato a tutti quel “non fate la guerra, fate l’amore”: grazie a un cinguettio abbiamo potuto dire la nostra, esserci.

I social network riescono a farci essere presenti anche se lontani: siamo in quel campo profughi, siamo quel poliziotto e quella donna, siamo alla vittoria di Obama.

Chi fa campagna elettorale, prima di ogni altro, sa quanto sia importante la viralità dell’immagine.

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama abbraccia la moglie, Michelle. Credits: SkyTg24

La foto più condivisa nella storia, oltre 3,9 milioni di like su Facebook e più di 777 mila retweet, è quella postata dallo staff del presidente degli Stati Uniti alle 5.16 (ora italiana) del giorno della sua seconda rielezione: l’abbraccio intenso e dolce tra Obama e Michelle, con la moglie girata di spalle e le braccia del presidente ben avvinghiate è arrivata a tutti. C’è poi anche una curiosità, che fa ben capire cosa vuol dire saper “comunicare”: quell’immagine ripresa da Scout Tufankjian, era stata scattata durante la campagna elettorale, ma è stata diffusa proprio in quel giorno.

Non possiamo non pensare a un’altra fotografia, scattata da Toni Gentile, a Palermo nel 1992: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ripresi mentre sogghignano tra loro, l’uno accanto all’altro. Conosco la storia di quella fotografia, come è stata fatta, quanti fotogrammi vi sono prima di quella che tutti conosciamo.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Credits: ammazzatecitutti.it

Quella foto, già nota a tutti prima dell’avvento dei social network, oggi ogni 23 maggio e 19 luglio (giorni degli anniversari della morte dei due magistrati e degli uomini e donne delle loro scorte), torna grazie ai nostri post, ai nostri tweet, ad essere attuale, a farci sentire presenti nella storia, a denunciare.

Il “rivoltoso sconosciuto” di Piazza Tienanmen. Credits: theguardian.com

E come non parlare di quelle foto che nessuno di noi ha mai dimenticato e che, grazie alla Rete, continuano a essere sulla “bocca di tutti”: forse la più nota è quella di Jeff Widenner che nel 1989 ritrae in piazza Tienanmen un manifestante fermo con la sua borsa in mano, davanti ai carri armati inviati per fermare la protesta. Quell’uomo, ancora oggi sconosciuto, è rimasto nei decenni il simbolo del coraggio.

Sharbat Gula. Credits: veja.it

Indimenticabile il volto della ragazza afgana, fotografato da Steve McCurry: quegli occhi verdi sbarrati, quel viso avvolto da un velo rosso, quella folta capigliatura, sono una delle copertine icona di tutti i tempi.

Credits: pegaphoto.com

E che dire della drammaticità dello scatto di Nick Ut che riesce a tramandare alla storia, l’attacco con il napalm in Vietnam mostrando al mondo uno sconcertato nudo di ragazzina che corre ustionata per scappare: ho visto recentemente l’originale di quella foto al museo di Ho Chi Minh e la sua drammaticità continua a lasciare tutti scioccati.

E poi ancora la controversa foto di Jamil Al-Durra, quel padre palestinese che cerca disperatamente di salvare il figlio.

Credits: theguardian.com

Fino ai giorni nostri, all’attualità di Papa Francesco che ha saputo comunicare anche attraverso l’iconografia: Bergoglio, grazie al lavoro di monsignor Daniel Gallagher, usa Twitter.

Papa Francesco a Lampedusa. Credits: gds.it

Di questo pontefice sono già entrate a far parte di noi la sua immagine a Lampedusa, i suoi selfie con i giovani, il pranzo alla mensa dei lavoratori del Vaticano, la fotografia a Napoli tra le suore di clausura che lo assaltano in cattedrale.

La forza dell’immagine e il potere dei social network possono cambiare la storia della comunicazione. Sta a ciascuno di noi sapere che possiamo essere fotoreporter per il “noi” e non per l’ “io”.

Ho scattato fotografie ai bambini nei campi profughi di Sabra e Shatila; ai giovani che fumavano colla nella più grande baraccopoli del Kenya; a ragazzi che giocavano con le armi per le strade di Nablus in Palestina; ho immortalato nelle celle frigorifere le ossa chiuse nei sacchetti degli uomini uccisi a Srebrenica. Scegliendo ogni volta di condividere quelle fotografie su Facebook, affinché altri potessero sentirsi parte di un viaggio.

ALEX CORLAZZOLI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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