IStarter: lo startupper è come una mamma (e non un papà)

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Partecipare ad un evento e sentire, per la maggior parte del tempo, interventi che rafforzano e presentano, mettendoli in ordine, concetti sui quali sei in pieno accordo dà una certa soddisfazione. E soprattutto ti fa capire che sei nel posto giusto, o almeno nel posto giusto per te.

Questo mi è capitato lo scorso 10 Novembre partecipando all’Open Doors di iStarter, inaugurazione ufficiale nonchè prima uscita pubblica della iniziativa che abbiamo creato insieme ad altri 40 amici e colleghi lo scorso Luglio (oggi diventati già 50).

Era ora che certe cose si dicessero chiaramente, o meglio, era ora che io trovassi un luogo dove certe cose si dicono chiaramente.

Non perchè siano tutte verità assolute, nè perchè mi sia sentito davvero d’accordo proprio su tutto, ma perchè finalmente ho sentito esprimere concetti anche scomodi con chiarezza, senza quei giri di parole tipici degli ambienti dove vige la massima attenzione a non pestare piedi, cercando di non lasciare mai nessuno scontento.

Apprezzo sempre la chiarezza di opinioni, anche (o forse soprattutto) nel confrontarmi con chi la pensa diversamente da me. Perchè la chiarezza elimina i dubbi sulla posizione del tuo interlocutore, sul fatto che lui o lei si possa trovare a sostenere, in un contesto che lo richieda, l’esatto contrario di ciò che hai appena sentito.

Certo ci vuole coraggio a dire chiaramente ciò che si pensa, perchè c’è sempre, inevitabilmente, chi non è d’accordo. E ci vuole tanto più coraggio quanto più scottanti e spinosi siano gli argomenti trattati.

Mi limito ad un paio di esempi di temi trattati in questa giornata che hanno espresso posizioni chiare (e lo ripeto, spesso da me condivise) legati al mondo della innovazione e delle startup.

Li ho scelti perchè esprimono bene due caratteristiche peculiari di iStarter.

Il primo è relativo alle priorità che chi vuole far nascere una impresa deve dare a sè stesso e alla propria azienda, gli “ingredienti” per il successo che Carlo Alberto Carnevale-Maffè ha sintetizzato molto bene nella sua dissertazione introduttiva con “3M”: Mercato, Merito, Metodo.

Nel suo intervento ha dipinto lo startupper di successo come un individuo che non passa il suo tempo a cercare capitali di rischio, ma prima si preoccupa di identificare e verificare il Mercato.

Un concetto espresso molto bene anche dallo Startup Owner’s Manual di Steve Blank, che insiste nel dire “Get out of the building”, quasi un urlo diretto agli startupper che troppo spesso tendono a tapparsi in casa o in ufficio fin quando non sono “quasi pronti” per presentare il loro prodotto.

Tutto da rifare, bisogna prima cercare il mercato, ben prima di avere il prodotto pronto.

Occorre uscire, capire, parlare con gli utenti, esistenti o potenziali. E questo fa parte del Metodo che in iStarter tutti noi cercheremo di trasmettere ai candidati imprenditori.

Carnevale-Maffè lo ha detto molto chiaramente: non ho mai visto una azienda che ha potenziale mercato non crescere per mancanza di capitali. Il capitale si trova se sei in grado di provare che il tuo prodotto è richiesto e può avere successo.

Ecco un primo mito da sfatare: per fare una azienda di successo non occorre subito capitale. Detto chiaramente, ripetuto fino alla noia.

Cambiando cappello, e passando ad un contesto meno “rischioso” (e su questo tornerò più avanti), trovo un perfetto accordo con questi concetti anche nella mia vita di tutti i giorni, quando indosso l’abito da vice direttore di un centro di ricerche torinese.

Nei 13 anni di vita di ISMB ho sempre posto grande attenzione ad evitare che venissero iniziati progetti senza una previa verifica di gradimento da parte di potenziali beneficiari.

I ricercatori (me incluso, anche se ormai da tempo ho abbandonato l’operatività di laboratorio) sono spesso esposti al rischio di perseguire idee innovative senza tener conto dei vincoli posti dal mondo esterno, mettendo magari a punto gioiellini tecnologici destinati, se il mercato non li apprezza, a rimanere in un cassetto.

Dal mio punto di vista questo è un fenomeno analogo al fallimento di una startup.

Con l’aggravante che mentre in quel caso è lo startupper ad essere “punito” direttamente perchè il suo progetto muore per mancanza di risorse, nella ricerca applicata il fallimento per scarsa attenzione agli obiettivi di mercato rappresenta un danno (meno evidente) per chi in quella ricerca ha investito, che a volte è rappresentato dal settore pubblico, ovvero da tutti i cittadini.

Questo fatto, spesso dimenticato anche in altri casi in cui si fa uso di risorse pubbliche, pone sulle spalle dei ricercatori responsabilità analoga o ancora superiore (essendo in gioco risorse altrui) a quella di uno startupper che muove i primi passi.

Queste riflessioni mi danno spunto per citare il secondo argomento che ho scelto tra quelli affrontati nel corso dell’Open Doors: il ruolo della Pubblica Amministrazione e della politica nel sostegno all’innovazione.

La pietra nello stagno l’ha gettata Carlo Pelanda della Georgia University, conservatore convinto (e dichiarato) a cui hanno fatto seguito, sullo stesso tema, interventi di Paolo Messa del Ministero per l’Ambiente, Marco Mezzalama del Politecnico di Torino, Roberto Moriondo della Regione Piemonte.

Ancora una volta la schiettezza dei relatori ha contribuito a stimolare la discussione.

Pelanda, con un intervento molto chiaro e quasi provocatorio ha insistito sul concetto che la politica debba tenersi lontana dalle tematiche della gestione finanziaria (anche delle risorse pubbliche), gestione che deve essere competenza del settore privato.

Interessante la replica di Paolo Messa, che ha fatto notare un possibile rischio che si corre eliminando la partecipazione alla politica: quello di ritrovarsi con un governo distante e disinteressato, che con le sue leve normative potrebbe creare un contesto nel quale l’uso delle risorse, pubbliche e private, risulta difficile o impossibile.

Sul fatto che la Pubblica Amministrazione debba limitarsi (e non è poco) alla creazione di un contesto favorevole allo sviluppo del business e della imprenditoria in un clima di sana concorrenza ha concordato anche Roberto Moriondo, cui la nostra Regione ha affidato il delicato ruolo di gestire le tematiche dell’innovazione, ricerca e sviluppo energetico.

Il settore pubblico può aiutare il proprio territorio creando le condizioni per la crescita di startup, con la consapevolezza che non esiste una territorialità delle imprese, che oggi si rivolgono comunque al mercato globale.

Strutture che supportano la nascita e crescita di startup come Topix o I3P, con cui iStarter sta definendo accordi di collaborazione, già operano in questo clima, attraendo imprese che inevitabilmente (ma è un fatto positivo) vedranno spostare all’estero parte del proprio business.

Un bell’esempio di come il pubblico e il privato possano coesistere e collaborare l’ha portato Claudia Bugno del Ministero dello Sviluppo Economico, presidente del Comitato FCG (Fondo Centrale di Garanzia per le piccole e medie imprese). Nella gestione di quel fondo lo Stato mette la garanzia, consentendo di superare l’obbligo di accantonamento del capitale di vigilanza altrimenti obbligatorio quando si concedono fidi alle imprese. Semplificazione delle procedure e delle normative, grandi vantaggi nell’accesso al credito per le imprese.

Certo è necessario, per poter trattare correttamente questi temi, anche una evoluzione culturale del management della PA (come nel privato), come ha sottolineato bene Marco Mezzalama: è importante che chi prende le decisioni capisca i nuovi fenomeni, le nuove tecnologie e le relative implicazioni sui nuovi modelli di business e sul mercato del lavoro.

Da questo punto di vista il Piemonte è particolarmente fortunato, avendo avuto diversi manager che di tecnologia e innovazione hanno fatto i loro cavalli di battaglia.

A conferma di ciò, la nostra regione – conferma Moriondo – sta ora mettendo a punto un piano di supporto per le startup, che renda il nostro territorio un punto di attrazione per le imprese ma connesso con il resto del mondo. Il tutto compatibilmente con quanto imposto dalle norme (anche di recente pubblicazione) nazionali, sulle quali i commenti da parte di molti sono stati tutt’altro che elogiativi.

E sul ruolo delle risorse pubbliche nell’avvio dei processi virtuosi sono pienamente d’accordo, in antitesi rispetto a quell’accanimento terapeutico per tenere in vita processi e scenari palesemente inefficienti cui il nostro paese ci ha spesso abituato.

L’ha detto bene Pelanda: le risorse pubbliche devono essere dirette laddove non si intravede un ritorno immediato in grado di solleticare azioni e interventi dei privati. Settori come la scuola ad esempio, citata giustamente da Pelanda, al quale potremmo aggiungere l’assistenza sanitaria e tutti gli altri servizi che in ogni società dovrebbero essere disponibili per tutti i cittadini.

Dal mio punto di vista il supporto pubblico incondizionato a iniziative che comportano rischio ha l’effetto negativo di attenuare il senso di responsabilità in chi si cimenta con una nuova impresa.

Se la sopravvivenza dello startupper è garantita da qualcuno (pubblico o privato che sia), viene meno quell’adrenalina che lo spinge ad affrontare le sfide e le difficoltà, facendo ogni giorno i conti con i suoi running cost, cercando di allungare le aspettativa di sopravvivenza (spesso misurata in mesi) della propria azienda, vivendo così per anni in un difficile equilibrio che gli permette, se ben gestito, di raggiungere il successo.

Un po’ come fa una mamma con i propri figli, per richiamare in chiusura una bella analogia proposta da Carnevale-Maffè: lo startupper deve essere per la propria impresa come una mamma, non come un papà, spesso nella nostra società meno presente, per necessità. Deve seguirne la crescita senza perderla di vista ogni giorno, fino a renderla indipendente.

E molti, a quel punto, la lasciano per farne nascere un’altra: il brivido, la paura di non riuscire, e la segreta confidenza di essere invece in grado di superare tutti gli ostacoli, sono sensazioni troppo forti per non essere vissute nuovamente.

Non mi resta quindi che augurare al nostro paese, certo di avere il supporto di tutti i soci di iStarter, di assistere ad un baby boom del XXI secolo, grazie a questo esercito di serial mom.

Edoardo Calia

Vice-direttore Istituto Superiore Mario Boella

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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