Io, maestro, e la lingua del Pokemon Go

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“Fermati, fermati maestro, c’è un Pokémon. Lo devo catturare”. Questione di trenta secondi ed è cambiata la percezione del mondo: Mattia ha estratto il suo smartphone dalla tasca, lo ha puntato in quello che fino ad attimo prima per me era il marciapiede, ha premuto sul cellulare direzionandolo verso il cartello stradale che segna lo Stop pronto a prendere il mostriciattolo che vedeva solo lui con la Poké Ball: “L’ho preso. E’ un Rattata, Pesa cinque chilogrammi e mezzo, è alto 0,3 metri. Lui costruisce la sua tana ovunque”.

UN ALTRO PIANETA

Ho pensato di essere in un altro pianeta. Ero, invece, nella “realtà aumentata” di Pokémon Go: un mondo creato da Niantic per la multinazionale giapponese Nintendo che da qualche settimana sta facendo impazzire i ragazzi trasformandoli in cacciatori di animali-mostri disseminati per le strade delle città, sui monumenti, sui sagrati delle chiese, nei locali pubblici, negli ospedali, nelle redazioni nei giornali, nei parcheggi, nelle abitazioni private.

Ha contagiato Usa, Australia e Nuova Zelanda ma subito dopo è arrivato anche in Europa. I primi giorni in Italia non si poteva scaricare. Una strategia commerciale vana per i nostri nativi digitali: “Maestro se lo vuoi mettere prima basta che cambi il profilo Id Apple, ti registri come se fossi un australiano mettendo via, codice postale, telefono di Melbourne e lo puoi scaricare dallo Store australiano”.

Perché i ragazzi sono tanto affascinati da questo gioco? Cosa li attrae? Bisogna scendere in strada con loro per capire

Un “gioco” da ragazzi che ha cambiato tutto nel giro di un mese ed è destinato a moltiplicarsi con l’inizio della scuola. Intanto il Vescovo di Noto ha lanciato la sua guerra a Pokemon Go definendolo “diabolico” e dicendosi pronto ad avviare un’azione legale contro la società Nintendo.

Vale la pena farsi qualche domanda, senza pregiudizio: perché i ragazzi sono tanto affascinati da questo gioco? Cosa li attrae? Bisogna scendere in strada con loro per capire. Matteo, 16 anni, in tre giorni ne ha catturati 94 di 31 specie diverse: “E’ importante la qualità del Pokémon. Per combattere nelle palestre ne servono sei: lì ci sono tre squadre dove ci si scontra con team virtuali, con Pokémon che sono stati lasciati nello spazio di combattimento da cacciatori reali”.

UN’ALTRA LINGUA

Sembra di parlare un’altra lingua ma è “solo” un gioco. Le palestre “virtuali” create in luoghi reali ci sono in ogni città così come i Poké Stop, punti “disseminati” in luoghi d’interesse (monumenti, locali, fontane etc) dove avere oggetti utili alla cattura: “A Crema – spiega Matteo – ce ne sono ogni due metri.

In città ho trovato anche due palestre: in piazza Duomo e in piazza Porta Serio”. Provo a capire cos’è che ha scatenato la mania. Scopro che è un misto di nostalgia per l’infanzia, per il gioco e la voglia di essere protagonisti, ragioni che accomunano ogni generazione: “I Pokémon già c’erano quando eravamo piccoli. Questa versione è più vicina alla realtà, ora siamo noi protagonisti del gioco, siamo noi i cacciatori. Può sembrare di essere un po’ fuori se pensi di essere in giro per una strada a cacciare mostri ma l’hanno tutti. Quello che può sembrare strano a chi non l’ha è normale per noi”, racconta Matteo. La pensa più o meno così anche Mattia, 14 anni: “Mi attira giocare in giro per il mondo”.

Chiedo via WhatsApp consigli ai miei alunni di 10 anni per capire chi di loro è già a caccia di Pokémon: tutti o quasi

Non resta che provare ad entrare in questa realtà parallela. Chiedo via WhatsApp consigli ai miei alunni di 10 anni per capire chi di loro è già a caccia di Pokemon: tutti o quasi. Il fenomeno non ha limiti di età. In un attimo divento un cacciatore con a disposizione un aroma per attirare i mostri, una fotocamera per fotografarli e un’incubatrice di uova. Parto alla ricerca di Pokémon: il primo me lo ritrovo sul cruscotto dell’auto mentre guido. Lo miro, eccolo catturato: è Bulbasaur, con un seme sulla schiena che cresce progressivamente. Il secondo me lo ritrovo in casa mentre scrivo questo articolo: lo vedo svolazzare attorno alla scrivania, è Pidgeotto, un uccello con artigli affilati. A fine giornata nel mio Pokédex ho cinque mostri e nella mia testa qualche domanda: perché è necessario un mondo virtuale per essere protagonisti a 10-16 anni? Quanto è in pericolo il confine tra fantasia e realtà? Un tempo si giocava a “Risiko” e si decideva quando iniziare e quando finire, ora sarà Pokémon a prendersi gioco di noi, di loro?

ALEX CORLAZZOLI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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