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Intelligenza artificiale e ADHD: davvero può peggiorare i sintomi?

bambini computer

Negli ultimi anni la sigla “AI” è entrata in ogni conversazione, alimentando speranze ma anche timori. Per
chi convive con il disturbo da deficit di attenzione, come il disturbo DDAI (ADHD in inglese), la domanda
cruciale è se gli algoritmi – che raccogliamo sotto l’etichetta “intelligenza artificiale” – possano aggravare la
difficoltà di concentrazione, l’impulsività o l’irrequietezza tipiche della condizione. La risposta, come spesso
accade in ambito clinico, non è un semplice sì o no: dipende dal tipo di uso, dal contesto e da quali
tecnologie consideriamo.
Un ambiente digitale pensato per catturare l’attenzione
Le piattaforme social, le app di streaming e i videogiochi “freemium” utilizzano motori di raccomandazione
basati sull’AI che massimizzano la permanenza online. Diversi studi longitudinali mostrano che
un’esposizione intensa a questi contenuti è associata a un aumento successivo di sintomi ADHD negli
adolescenti: per esempio, un’ampia coorte statunitense ha rilevato un rischio maggiore (OR ≈ 1,5) di
sviluppare disattenzione dopo ventiquattro mesi tra chi usava abitualmente numerosi servizi digitali ad alta
stimolazione. Anche una rassegna narrativa pubblicata nel 2024 sottolinea come video rapidi, notifiche a
raffica e cicli di ricompensa immediata possano acuire impulsività e difficoltà di autoregolazione, specie nei
più giovani.
Correlazione non è causa, ma l’effetto amplificatore è reale
È importante distinguere: la letteratura non dimostra che l’AI “crei” l’ADHD. Alcuni autori ipotizzano
piuttosto un meccanismo bidirezionale, in cui chi ha già tratti di disattenzione tende a cercare contenuti
veloci e, così facendo, rinforza il circuito della gratificazione istantanea che alimenta la distrazione. In
pratica, l’algoritmo amplifica una vulnerabilità pre-esistente: più stimoli, meno noia immediata, ma a
prezzo di una soglia di attenzione sempre più bassa nella vita offline.
Quando l’intelligenza artificiale diventa alleata
La stessa tecnologia che potenzialmente distrae può però trasformarsi in strumento di compensazione. App
di task-management che sfruttano il machine learning, assistenti vocali che dettano promemoria o chatbot
che schematizzano le attività giornaliere aiutano a esternalizzare funzioni esecutive fragili. Recensioni del
2025 elencano soluzioni – da Speechify a Notion AI – che migliorano organizzazione, gestione del tempo e
memoria prospettica, purché usate con parsimonia.
Anche in ambito clinico l’AI mostra potenzialità promettenti. Algoritmi di computer-vision applicati al
tracciamento oculare o alla realtà virtuale riescono a riconoscere pattern attentivi alterati con una
precisione superiore all’osservazione tradizionale, accelerando la diagnosi e personalizzando gli interventi.
In altre parole, l’AI può ridurre i ritardi diagnostici – un fattore che di per sé peggiora l’esito funzionale –
anziché aggravare il disturbo.
Fattori chiave che determinano l’esito
1. Durata e modalità d’uso: sessioni brevi, pianificate e senza multitasking limitano il sovraccarico
cognitivo.
2. Tipo di contenuto: materiali educativi interattivi con feedback adattivo tendono a sostenere la
concentrazione; feed social “infinito” e giochi progettati per il binge-playing la erodono.

3. Contesto: supervisione parentale, impostazione di timer, spazi di lavoro privi di notifiche e “zone
device-free” migliorano l’autoregolazione emotiva.
4. Profilazione etica: strumenti che spiegano perché propongono certi suggerimenti – e permettono
di regolare i criteri di raccomandazione – ridanno all’utente un senso di controllo, fondamentale
per chi fatica con l’impulsività.
Suggerimenti pratici per genitori, insegnanti e adulti con ADHD (DDAI)
 Stabilire finestre temporali (ad es. 20 minuti di uso social, seguiti da 5 minuti di pausa fisica).
 Usare app di “focus” che bloccano notifiche e monitorano il tempo trascorso in ogni applicazione.
 Integrare AI “assistiva” (pianificatori smart, sintesi vocale, riassuntori di testo) come ausilio, non
come sostituto della terapia comportamentale o farmacologica.
 Preferire contenuti interattivi e goal-oriented (coding, strumenti musicali digitali) rispetto allo
scroll passivo.
 Condividere le impostazioni di privacy: spiega ai ragazzi perché certi dati non vanno ceduti e come
limitare il tracciamento comportamentale.
L’intelligenza artificiale di per sé non peggiora l’ADHD; è la combinazione fra design che incentiva l’utilizzo
compulsivo e vulnerabilità individuale a fare la differenza. Se sfruttata consapevolmente, l’AI può
addirittura diventare un tutor digitale che aiuta a strutturare la giornata, ridurre la procrastinazione e
potenziare l’autostima. La sfida, oggi, non è demonizzare la tecnologia, ma coltivare un’alfabetizzazione
digitale che metta al centro l’intenzione dell’utente e la qualità dell’esperienza. In questo equilibrio – fra
limite e opportunità – si gioca il vero impatto dell’AI sulla vita di chi convive con l’ADHD. Per ulteriori
informazioni su trattamenti clinici e sedute psicologiche segui questa realtà incentrata pienamente suldisturbo in questione: https://gam-medical.com

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