Recentemente, la Commissione europea ha aperto un’indagine formale contro Google, accusando il gigante tecnologico di aver penalizzato i contenuti degli editori nei risultati del suo motore di ricerca. Questa questione è emersa in un contesto in cui l’editoria europea sta affrontando sfide economiche significative, e la sopravvivenza di molti media dipende da come vengono trattati online.
Il contesto dell’indagine
Il fulcro dell’indagine è la policy anti-spam introdotta da Google nel marzo 2025, nota anche come site reputation abuse policy. Questa misura è stata pensata per combattere pratiche poco etiche come il parasite SEO, in cui contenuti di bassa qualità sono pubblicati su siti autorevoli per sfruttarne la reputazione. Un esempio è rappresentato da un’agenzia di prestiti poco affidabile che potrebbe pagare un giornale rispettabile per pubblicare articoli favorevoli ai propri servizi, utilizzando così il prestigio del giornale a proprio vantaggio.
Le accuse della Commissione europea
Secondo la Commissione, Google applica questa policy in modo indiscriminato, penalizzando non solo i contenuti di bassa qualità, ma anche articoli legittimi e sponsorizzati. Teresa Ribera, vicepresidente della Commissione, ha espresso preoccupazione per il fatto che le politiche di Google potrebbero impedire agli editori di essere trattati in modo equo e non discriminatorio. Questo approccio sta causando un calo significativo del traffico verso i siti dei media, mettendo a rischio la loro sostenibilità economica.
Le reazioni di Google e le difese aziendali
In risposta alle accuse, Google ha dichiarato che la sua policy anti-spam è necessaria per proteggere gli utenti da contenuti ingannevoli. Pandu Nayak, chief scientist di Google Search, ha ribadito che l’indagine è fuorviante e potrebbe danneggiare milioni di utenti in Europa, sostenendo che l’applicazione di regole più severe nei confronti di contenuti sponsorizzati potrebbe favorire pratiche sleali.
Il quadro legale e le implicazioni
Se Google venisse giudicata colpevole di violare il Digital Markets Act, le conseguenze potrebbero essere severe, con multe che potrebbero raggiungere il 10% del fatturato globale dell’azienda. Inoltre, in caso di recidiva, le sanzioni potrebbero raddoppiare, e persino arrivare a ordinare la vendita di parti dell’azienda. Questo scenario sottolinea l’importanza del DMA, un insieme di regole volto a garantire condizioni di mercato più giuste nel panorama digitale.
Il dibattito più ampio sulle politiche digitali
Questa indagine si inserisce in un contesto di tensioni crescenti tra l’Unione Europea e le grandi aziende tecnologiche statunitensi. Negli ultimi anni, vari paesi hanno implementato leggi per garantire un giusto compenso agli editori per l’uso dei loro contenuti.
Paesi come l’Australia e la Francia hanno già adottato misure per obbligare le piattaforme digitali a negoziare accordi equi con i media locali, creando un precedente che l’Europa sta ora seguendo.
La Commissione europea avrà un anno per completare l’indagine e valutare se le pratiche di Google violano le normative vigenti. Questo periodo rappresenta un’opportunità per Google di presentare le proprie difese e apportare modifiche necessarie per allinearsi alle aspettative di Bruxelles. In caso contrario, le ripercussioni potrebbero essere significative, non solo per Google, ma anche per il futuro del settore editoriale in Europa.

