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Il ruolo delle big tech nel conflitto israelo-palestinese

Non crederai mai a quanto sia profondo il legame tra le big tech americane e le operazioni militari israeliane. Ecco cosa ha rivelato un rapporto scioccante.

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Un recente rapporto ha scosso le fondamenta della tecnologia moderna, rivelando un legame inquietante tra le principali aziende tecnologiche statunitensi e le operazioni militari israeliane nei territori occupati. Francesca Albanese, relatrice speciale per i diritti umani nei territori palestinesi, ha presentato un documento che accusa giganti come Microsoft, Google, Amazon e Palantir di fornire supporto cruciale all’esercito israeliano. Ciò che emerge da queste rivelazioni è tanto sorprendente quanto allarmante. Ti sei mai chiesto come le aziende che usiamo ogni giorno possano influire su questioni così delicate? Il contenuto di questo rapporto potrebbe cambiare radicalmente la nostra percezione delle tecnologie che ci circondano.

Il rapporto che scuote le coscienze

Intitolato “From economy of occupation to economy of genocide”, il documento di 39 pagine ha sollevato un polverone.

Albanese ha affermato che queste aziende tecnologiche non solo forniscono infrastrutture vitali per i sistemi di sorveglianza di massa, ma contribuiscono anche attivamente alle operazioni militari nei territori palestinesi. Con oltre 200 testimonianze e un database di circa mille aziende coinvolte, il rapporto dipinge un quadro inquietante di come la tecnologia moderna possa essere utilizzata per perpetuare violazioni dei diritti umani. Ma cosa significa tutto questo per noi? È fondamentale interrogarsi su come i nostri strumenti quotidiani possano avere ripercussioni così gravi.

Ma non è tutto: il rapporto menziona specificamente il contratto da 1,2 miliardi di dollari conosciuto come Project Nimbus, un accordo tra Google, Amazon e il governo israeliano per fornire tecnologie cloud e intelligenza artificiale. Questo contratto, finanziato principalmente dal ministero della Difesa israeliano, garantirebbe un accesso quasi illimitato a risorse tecnologiche che, secondo quanto riportato, sono utilizzate per scopi militari.

Ti sei mai chiesto quali siano le vere conseguenze di tali accordi?

Le tecnologie al servizio del conflitto

Microsoft, ad esempio, è presente in Israele dal 1991 e ha sviluppato quello che viene considerato il più grande centro di sviluppo al di fuori degli Stati Uniti. Le sue tecnologie sono integrate in vari ambiti, dalle forze di polizia agli istituti scolastici. Tuttavia, è il supporto all’apparato militare che desta preoccupazione: dal 2003, l’azienda ha collaborato attivamente con le forze armate israeliane, acquisendo startup specializzate in cybersicurezza e sorveglianza. Ma come può una tecnologia pensata per il bene comune trasformarsi in un’arma?

Il rapporto di Albanese non si ferma qui. Durante l’escalation del conflitto dopo ottobre 2023, quando i sistemi informatici israeliani hanno cominciato a sovraccaricarsi, Microsoft e Project Nimbus sono intervenuti con tecnologie critiche, supportando direttamente le operazioni militari.

È un legame che fa riflettere: come può la tecnologia essere utilizzata per facilitare conflitti e sofferenze umane? È un interrogativo che tutti dovremmo porci.

Palantir e il suo ruolo nella sorveglianza

Un altro attore chiave è Palantir Technologies, nota per le sue capacità di analisi dei big data. Fondata da Peter Thiel, l’azienda ha come obiettivo la creazione di software di intelligence per governi e forze di polizia. Secondo il rapporto, Palantir avrebbe fornito tecnologie di controllo predittivo automatizzate, fondamentali per le operazioni militari israeliane. La partnership strategica annunciata nel gennaio 2024 dimostra un chiaro sostegno alle azioni israeliane, sollevando interrogativi sulle implicazioni etiche di tali collaborazioni. In che modo possiamo accettare che le tecnologie che usiamo possano diventare strumenti di oppressione?

Inoltre, il rapporto menziona IBM, attiva in Israele dal 1972. L’azienda ha formato personale militare e dell’intelligence, contribuendo alla gestione di dati biometrici sui palestinesi. Questo sistema di raccolta e archiviazione di informazioni è essenziale per il regime di permessi che controlla ogni movimento della popolazione palestinese, evidenziando ulteriormente come la tecnologia possa diventare uno strumento di oppressione. La questione è seria e merita la nostra attenzione.

In conclusione, questo rapporto è un campanello d’allarme su come le tecnologie avanzate possano essere strumentalizzate per fini militari e di controllo sociale. Un’occupazione che si trasforma in un laboratorio digitale, dove le tecnologie testate sui palestinesi vengono poi vendute al resto del mondo come “battle-tested”. È tempo di riflettere su cosa significa davvero innovazione e progresso nella nostra società. Non possiamo rimanere indifferenti.

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Scritto da Staff

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