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I traumi di Sarajevo rivivono attraverso le immagini di Gaza

Un'analisi profonda delle cicatrici lasciate dalla guerra a Sarajevo e delle potenti immagini provenienti da Gaza: un viaggio evocativo tra memoria e attualità.

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La guerra lascia segni che trascendono il tempo. Per Aida Cerkez, giornalista e testimone delle atrocità di Sarajevo, l’eco di quel conflitto è tornato prepotente. Dopo trent’anni di apparente normalità, le immagini di un bambino in difficoltà a Gaza hanno scatenato ricordi e traumi mai veramente sopiti.

Aida ha vissuto l’assedio di Sarajevo, un periodo drammatico che ha portato alla morte di oltre dodicimila persone. I suoi ricordi, inizialmente confusi tra attimi di ironia e momenti di terrore, si sono riacutizzati con la visione di un video straziante. Abdullah, un bambino palestinese di quattro anni, è diventato il simbolo di un dolore che si ripete.

Il ritorno del trauma

Il dolore di Aida è stato riattivato dalla visione di Abdullah, un bambino con un ventre gonfio che implorava aiuto.

La sua morte, nonostante i tentativi di salvataggio, ha fatto riaffiorare i ricordi del suo passato. Il trauma non è solo personale; è una ferita collettiva che continua a influenzare le vite di molti. Aida ha iniziato a rivivere gli attimi di paura, gli spari e le granate, e la sensazione di impotenza quando si trovava di fronte a vittime che non poteva aiutare.

Il riconoscimento del disturbo post-traumatico

La diagnosi di disturbo post-traumatico da stress è diventata una realtà per Aida. Le terapie suggerite comprendono farmaci, assenza di schermi e un ripristino dei contatti umani. La guerra non si dimentica mai completamente; essa rimane in un angolo della mente, pronta a riemergere. La psicologa Aida Fatic sottolinea come le immagini da Gaza fungano da attivatori emotivi, risvegliando i fantasmi di chi ha vissuto esperienze simili.

“Sappiamo cosa vuol dire vivere sotto assedio”, afferma, evidenziando il potere delle immagini nel riaprire vecchie ferite.

Le cicatrici visibili e invisibili di Sarajevo

Camminando per Sarajevo, le ferite della guerra sono visibili in ogni angolo. Edifici crivellati di proiettili convivono con la modernità. Ogni struttura racconta storie di dolore e speranza, una città che ha affrontato l’orrore e continua a portare i segni di quel passato. Tuttavia, ci sono anche cicatrici invisibili: ansia, depressione e insonnia sono disturbi comuni tra la popolazione. Un recente studio ha rivelato che circa un milione e settecentocinquanta mila persone in Bosnia ed Erzegovina soffrono di disturbi post-traumatici.

Il trauma intergenerazionale

Branka Antic Stauber, psicologa e fondatrice di Snaga Žene, evidenzia l’importanza di riconoscere il trauma intergenerazionale.

Le esperienze traumatiche non si fermano alla generazione che le vive; spesso, i figli ereditano questi pesi. Merima Sisic, una giovane attivista, condivide la sua esperienza di vita in una società segnata dalla paura. Ogni decisione è influenzata dalla domanda: “Cosa succederebbe se scoppiasse un’altra guerra?” La tensione costante e la precocità nel prepararsi a una possibile fuga sono una realtà condivisa da molti.

Riconciliazione e divisioni etniche

Il percorso di riconciliazione in Bosnia è stato tortuoso. Organizzazioni come Snaga Žene cercano di riunire diverse etnie, ma la divisione rimane profonda. Alma Sukic, coordinatrice di progetti per la fondazione Heinrich-Böll, sottolinea che il governo ha perpetuato le divisioni etniche, rendendo difficile una vera riconciliazione. La Bosnia è divisa in due entità autogovernate, e ogni legge deve essere approvata da tre presidenti, uno per ciascun gruppo etnico. Questo sistema, figlio degli accordi di Dayton, ha creato una situazione di stallo politico.

In questo contesto, il conflitto è solo congelato, non risolto. La memoria della guerra continua a influenzare le dinamiche sociali e politiche del paese, lasciando cicatrici profonde e difficili da sanare. Aida Cerkez, seduta nel cuore storico di Sarajevo, riflette su come il mondo possa ignorare il dolore altrui, un sentimento che oggi si unisce alla sua solidarietà per la Palestina. “Non posso voltare le spalle al dolore”, conclude, rendendo evidente che le cicatrici della guerra sono universali e senza tempo.

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Scritto da Staff

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