In un epocale verdetto, una giuria federale della California ha deciso che Google dovrà sborsare ben 425 milioni di dollari a causa di una grave violazione della privacy degli utenti. Questo caso ha messo in luce come l’azienda di Mountain View abbia raccolto dati personali nonostante gli utenti avessero disattivato il tracciamento nelle impostazioni del proprio account. Si tratta di un momento cruciale che solleva interrogativi sulla trasparenza e l’affidabilità delle pratiche di raccolta dati delle grandi aziende tecnologiche.
La denuncia e l’inizio del processo
La storia di questa controversia inizia il 14 luglio 2020, quando due utenti statunitensi hanno presentato una denuncia chiedendo un processo come class action. La loro richiesta è stata formalmente accettata, e a metà gennaio 2025, il giudice Richard Seeborg ha respinto una mozione da parte di Google per chiudere il caso, dando il via libera al processo che è iniziato il 18 agosto.
Le accuse mosse nei confronti di Google sono gravi: la violazione della privacy è stata effettuata attraverso l’impostazione “Attività web e app” dell’account. Quando questa opzione è attivata, Google raccoglie una miriade di dati, inclusi la posizione (attraverso l’indirizzo IP), la cronologia di navigazione su Chrome, le ricerche effettuate e persino le interazioni con Google Assistant. Il problema è che, nonostante gli utenti avessero disattivato la raccolta di tali informazioni, Google ha continuato a tracciare le loro attività dal luglio 2016 fino a settembre 2024.
La reazione di Google e la sentenza finale
Durante il processo, l’avvocato dei querelanti ha sottolineato come i due utenti non avessero mai dato il consenso per la raccolta dei loro dati. Nonostante ciò, Google ha continuato a monitorare le loro attività, portando a una richiesta di risarcimento che superava i 31 miliardi di dollari.
La giuria ha infine confermato la colpevolezza di Google per due delle tre accuse presentate, escludendo i danni punitivi. Di conseguenza, l’azienda californiana si è vista costretta a pagare 425 milioni di dollari per risarcire i danni.
Un portavoce di Google ha commentato la sentenza affermando che: “Questa decisione fraintende il funzionamento dei nostri prodotti. I nostri strumenti per la privacy danno agli utenti il controllo sui propri dati e, quando disattivano la personalizzazione, rispettiamo questa scelta.” La questione è tuttavia lontana dall’essere risolta, dato che Google ha già annunciato l’intenzione di presentare appello.
Il futuro della privacy online
Questo caso è solo la punta dell’iceberg in un dibattito più ampio riguardo alla privacy online e alla protezione dei dati personali.
Con la crescente preoccupazione degli utenti riguardo a come le loro informazioni vengano gestite, è fondamentale che le aziende tecnologiche adottino pratiche più trasparenti e rispettose. La questione non riguarda solo Google, ma coinvolge tutto il settore tecnologico, dove la fiducia degli utenti è messa a dura prova.
La sentenza rappresenta un campanello d’allarme per tutte le aziende che operano nel settore della tecnologia. Gli utenti non sono più disposti a tollerare violazioni della loro privacy e chiedono maggiore responsabilità. È chiaro che il futuro della privacy online dipenderà da come le aziende risponderanno a queste preoccupazioni e si adatteranno a un contesto normativo in continua evoluzione.