Ecco perché per realizzarci dobbiamo costruire fiducia

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Pensi di andare a un festival sul futuro e scopri di essere stato a un dibattito politico. La riflessione è personale e la condivido con voi per una necessità di presa di coscienza: cosa vuol dire fare innovazione? Qual è la reale connessione tra i digital startupper, i coworker, i social innovator, i designer e i lateral thinker? Quella enorme voglia di cambiamento che c’è nell’aria come può scendere a terra in azioni concrete che abbiano tanto valore sociale quanto valore economico? E ancora: come mettiamo in mezzo a tutto ciò la realizzazione di noi stessi, che poi significa anche felicità?

Sono domande alle quali non ho risposte da dare. Sono le domande che mi porto a casa dai due giorni passati al Future Fest, la manifestazione organizzata da Nesta a Londra e che ha ospitato dibattiti, speech e incontri sul futuro nelle sue diverse accezioni.

Qui Geoff Mulgan ha messo assieme innovazione sociale e politica, riflessioni su neo socialismo e post capitalismo con un solo scopo: “Siamo qui per disegnare il futuro in cui vogliamo vivere”. Sembra una frase banale, ma è tutto: ci pensate mai al fatto che noi che ci incontriamo a tanti dibattiti e festival, che ci confrontiamo su piattaforme come questa, che proviamo a fare cose sensate nel pubblico e nel privato, di fatto siamo mossi da qualcosa che non è solo “alto” ma anche tremendamente pratico? Facciamo mille diverse cose per vivere meglio.

Il punto è che per riuscirci dobbiamo necessariamente essere in tanti. E se siamo in tanti, dobbiamo per forza fidarci uno dell’altro, altrimenti ognuno si muoverà in direzione casuale e gli sforzi non daranno nessun risultato evidente.

Ecco la domanda che ha segnato il Future Fest: come costruiamo fiducia in una società iperconnessa?

Owen Jones: “Dobbiamo canalizzare la rabbia per creare movimenti capaci di cambiare la società dal basso, non abbiamo bisogno di elite non controllabili o think tank, ma di una società capace di rigenerare se stessa partendo dalla speranza di un futuro possibile”.

Michel_Bauwens: “Economia etica, società civile e lo Stato come partner: questo è il post capitalismo che possiamo costruire, una economia peer to peer in cui ognuno possa esprimere se stesso unendo le proprie passioni con le proprie capacità e i bisogni sociali. Se questi tre elementi coincidono, una nuova società nasce”.

Helena Kennedy QC: “Servono soluzioni collettive per realizzare quel futuro della democrazia di cui abbiamo davvero bisogno”.

Edward Snowden: “Per ricostruire fiducia dobbiamo ridefinire i nostri diritti”.

Fidarsi degli altri. Fidarsi di chi ci governa. Fidarsi di chi vuole investire nella nostra idea.

Fidarsi, soprattutto, del fatto che il futuro che abbiamo davanti possa rappresentare al meglio i nostri sogni, le nostre speranza, il nostro desiderio di vivere in un mondo migliore rispetto a quello in cui ci troviamo. Il problema più grande che dobbiamo affrontare è proprio quello della fiducia, perché il futuro sarà davvero migliore se agiremo insieme per far sì che sia tale, ma per farlo dobbiamo imparare a fidarci gli uni degli altri.

Credits: utahvalleyrealestate.com

Allora torno al concetto con cui Mulgan ha costruito e aperto il festival, sottolinenando la dimensione politica dell’innovazione e di chi la fa e rispondendo, almeno in parte, a quella domanda iniziale su ciò che unisce persone/categorie tra loro apparentemente distanti: siamo uniti dalla voglia e dalla capacità di cambiare, in meglio, il mondo. Ognuno nel suo più o meno piccolo/grande.

Lo facciamo perché abbiamo deciso di disegnare il futuro in cui vogliamo vivere.

E aggiungo: lo facciamo senza pensare che il cambiamento sia frutto di eventi straordinari, ma sapendo che è dalla connessione di potenzialmente infinite piccole azioni che ognuno di noi può compiere quotidianamente che si costruisce quello che ognuno di noi sogna.

Ecco perché concludo una riflessione che rimane necessariamente aperta, e bisognosa di contributi crescenti, con una domanda, che presuppone si debba – non solo noi, che forse siamo quel think tank che secondo Jones non basta né serve per cambiare davvero – superare la fase di protesta non passando a quella della richiesta né virando verso quella della proposta, ma andando dritti a quella dell’azione. Singola, anche, ma in un’ottica collettiva. Dicevo, la domanda: la faccio a ogni singolo lettore, e a me stesso, invitandovi a farla a più persone possibili: tu cosa fai di concreto, esattamente adesso, per costruire il futuro in cui vuoi vivere?

ALESSANDRO RIMASSA

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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