È la sharing economy la grande occasione di Expo: lo capiranno?

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260 piattaforme collaborative presenti in Italia di cui 160 di scambio e condivisione, 40 di autoproduzione (making) e, circa 60 di crowding. E’ quanto è emerso da una ricerca dell’Università Cattolica presentata il 29 novembre a Sharitaly, il primo evento interamente dedicato all’economia collaborativa in Italia, che si è svolto presso l’Università Cattolica e Fondazione Eni Enrico Mattei.

Numeri importanti perché aiutano a dimensionare l’economia collaborativa in Italia, ma che, tuttavia, non rappresentano la vera notizia emersa dal convegno. La novità più grande, infatti, è stata scoprire tanto entusiasmo intorno al tema che si è manifestato prima, durante e dopo l’evento.

Più di 200 richieste di partecipazione con altre 200 persone in lista di attesa, chiusa già due settimane prima di Sharitaly. L’aula della Cattolica, assegnata per ospitare il convegno, sostituita negli ultimi giorni con una più grande, per dare possibilità a più persone di partecipare.

Giornali (soprattutto online) che hanno riportato la notizia, con brevi articoli o interi servizi.

Insomma si è creata un’attesa favorevole che, fortunatamente, non è stata delusa. Le 250 persone presenti in aula, hanno preso appunti, twittato, ascoltato attentamente per cinque ore consecutive, tanto sono durate le presentazioni che senza fiato si sono susseguite durante la mattina. Nonostante questo quando Maria Luisa Pezzali, la giornalista di Radio24 che ha moderato l’evento, ha cercato di stringere sull’ultima relazione si è sollevata la sala chiedendo, a gran voce, la prosecuzione dell’intervento.

Nel pomeriggio circa 100 persone (selezionati tra i partecipanti della mattina e altri invitati) hanno lavorato divisi in circa 10 workshop confrontandosi sul valore della condivisione. Il tutto ha generato 2.282 tweet mandati da 456 persone ed è stato raccontato, il giorno successivo, da un preciso storify (ricostruito, tra l’altro non dagli organizzatori ma da un partecipante).

Insomma gli italiani sono pronti a condividere sebbene ci sia ancora tanto bisogno di informazione.

Molto importante in questo senso l’intervento di April Rinne di Collaborative Lab, che con l’entusiasmo tipico americano, ma anche con tanta sobrietà e pacatezza, ha spiegato il valore e le caratteristiche dell’economia collaborativa dando un respiro internazionale al tema che ha generato entusiasmo e prospettiva.

L’introduzione di Collaboriamo insieme alle ricerche di Università Cattolica ModaCult, Duepuntozero e IBM, hanno aiutato a fare il punto sull’Italia, a evidenziare un paese che si sta muovendo con un certo ritardo verso i servizi di condivisione e scambio, ma con interesse.

Crescono le startup, sia come numero che come utenti che le frequentano, mentre aziende e pubbliche amministrazioni iniziano a sperimentare i servizi.

Non mancano certo perplessità e difficoltà. Sulle prime si è soffermato Mario Maggioni, Professore di Politica Economica all’Università Cattolica di Milano, che ha raccomandato prudenza sostenendo che si è ben lontani dal poter parlare di una nuova economia, perché, nonostante il mercato della sharing economy sia effettivamente in crescita, negli USA, 9 start up su 10 falliscono, i modelli di business proposti sono piuttosto tradizionali e, soprattutto, manca ancora un quadro normativo, che, una volta definito, potrebbe incidere in maniera significativa sul futuro di molti servizi.

Proprio sulle regole sono intervenuti gli avvocati Piattelli e Quintavalla di Osborne Clarke. La maggior parte di servizi, hanno raccontato, oggi operano in un contesto normativo poco chiaro, perché in Italia (come nel resto del mondo) esistono leggi, molto spesso obsolete, che non prevedono transazioni fra pari come quelle che dovrebbero regolare le piattaforme collaborative. Norme che sarà anche difficile adeguare perché i servizi collaborativi operano in settori molto differenti che rispondono a leggi e regole diverse.

Quello che emerge da entrambi questi interventi, è che la sharing economy è sempre di più un tema che va affrontato da angolature e discipline diverse molte delle quali, in questo momento, non hanno ancora posizioni forti e nemmeno una storiografia a cui rifarsi. Diverso, invece, il caso del design in cui l’Italia, grazie al lavoro svolto da più di un decennio da Ezio Manzini e dai suoi collaboratori, è sicuramente all’avanguardia.

Daniela Selloni del Politecnico del design di Milano ha illustrato che la sharing economy promuove un nuovo modello di servizio che, a differenza da quello tradizionale, propone una dialettica utente-utente (vs fornitore utente) e una progettazione community oriented (vs user oriented). Sulle opportunità – e difficoltà – che questo nuovo modello di servizio propone si è discusso nei tavoli di lavoro del pomeriggio.

Un ruolo molto importante è stato riconosciuto alla Pubblica amministrazione che può sia agevolare l’adozione di questi servizi semplificando la normativa (come ha fatto per esempio il comune di Milano per il carsharing), sia adottare alcuni modelli collaborativi come ha fatto, per esempio, il sindaco di Veglio che ha adibito alcuni spazi dismessi a coworking, o l’Anci Toscana che ha promosso Autoincomune, un portale di carpooling che aiuta i cittadini a muoversi facilmente all’interno della regione.

Per diffondere l’economia collaborativa e sfruttarne a pieno le opportunità che offre, bisogna però creare fiducia intorno al tema che significa, prima di tutto, fare informazione, parola che è tornata spesso durante la giornata: continuare a spiegare e a diffondere i vantaggi di questa nuova economia a tutti i possibili interlocutori (privati, aziende, PA) cercando di arrivare anche in parti di Italia più isolate. Un’efficace e capillare comunicazione, tuttavia, non è più sufficiente.

Per creare fiducia bisogna anche iniziare a lavorare su progetti concreti in modo da costruire casi di studio che poi possono essere presi da esempio in altri contesti. E’ necessario passare a una fase progettuale e istituire tavoli di lavoro in cui interlocutori diversi (esperti del tema, amministratori, aziende, e startupper) provino a rispondere attraverso i servizi collaborativi, alle sfide lanciate dalle nostre città (isolamento, disoccupazione, povertà), ai problemi ambientali, piuttosto che alle opportunità poste da occasioni speciali.

In questo senso l’expo di Milano è un’occasione ghiotta. Siglando degli accordi con i servizi collaborativi, per esempio, l’amministrazione milanese potrebbe garantire durante la manifestazioni ospitalità (senza dover ricorrere alla costruzione di nuove strutture), trasporti alternativi, percorsi culinari e culturali differenti da quelli tradizionali.

La fiducia nell’economia condivisa deve essere alimentata anche con le regole. La mancanza di una normativa chiara spinge i servizi a non innovare fino in fondo e gli utenti ad avere remore a utilizzarli.

Sharitaly con questa giornata ha promosso divulgazione e contaminazione. A nostro parere ha così creato le condizioni affinché si sappia quali siano i passi successivi da intraprende. Non resta che mettersi al lavoro se si vuole davvero diffondere questi servizi e rendere concreto il desiderio di collaborare degli italiani.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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