Dipendere dai social. Siamo tutti affetti da FOMO, non solo i ragazzi!

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Qualche mese fa ho tenuto una lezione nel teatro di Argenta, un paese della provincia di Ferrara sul quel pezzo di terra di confine dove l’Emilia lascia il posto alla Romagna. Sarebbero dovute essere quinte superiori, due se non sbaglio, ma si sono presentate delle classi del biennio, roba da 15 o 16 anni: non so chi avesse “sbagliato” o chi si fosse accordato male ma ricordo che io pensai non sarebbe stata una passeggiata.

Pensai “a questi non frega nulla di quello che ho da dire, nulla. Questi sono qua per obbligo, non come i corsi e i master ai quali insegno dove la gente paga e viene per libero arbitrio. Questi mi malediranno.”

E’ stata senza dubbio, al contrario di quello che pensavo, una delle giornate più formative di tutta la mia vita.

Formativa per me, intendo.

Nella faccia di quei ragazzi, dopo avere domato quelli delle ultime file che non facevano altro che sputazzarsi il riso con la penna Bic (cit.), ho visto moltissimo interesse e una grandissima voglia di imparare. Anzi, più che voglia di imparare ho visto un sacco di curiosità, di interesse appunto per tutto quello che avevano davanti ma non sapevano come fosse stato raggiunto.

Foto: educationnews.org

NATIVI DIGITALI… E BIMBIMINKIA!

‘Sti ragazzi si trovano con uno smartphone ma non sanno nulla: da dove arriva, cosa c’era prima, come mai ha questa interfaccia. Molti di loro non sanno chi sia Steve Jobs o Bill Gates. Lo so, sconcertante. Ma vero.

La cosa davvero molto interessante è stata la spaccatura netta che ho notato tra questi ragazzi, o meglio tra i diversi gradi di attenzione di questi ragazzi: alcuni di loro erano affascinati (soltanto per qualche secondo, anche perché hanno una capacità di concentrazione di un pico-secondo) e altri si facevano i fatti loro, specie le ragazze.

Quello che mi ha lasciato stupefatto è che le ragazze delle prime file non facessero nulla per nascondere il loro non ascoltarmi ma anzi, in modo piuttosto armonioso e audace, si sparavano dei gran selfie alla faccia mia.

Cioè… io parlavo e queste ragazze si selfavano, con buona pace delle mie parole sui social.

A parte il discorso della maleducazione intrinseca in una parte della nostra vita, quando in particolare ci sentiamo immortali e capaci di affrontare ogni cosa, ho pensato che queste ragazze soffrissero di FOMO.

Credits: jwintelligence.com

LA PAURA DI ESSERE TAGLIATI FUORI DA TUTTO

Il FOMO (Fear Of Missing Out) è la paura di essere tagliati fuori da tutto, da quello che di interessante ci potrebbe essere nel mondo e a cui noi non possiamo partecipare.

È il pensiero costante che gli altri stiano facendo qualcosa di più bello o divertente di quello che stiamo facendo noi.

Secondo un sondaggio condotto negli Stati Uniti e nel Regno Unito, la maggior parte dei Millennials adulti ( di età compresa tra 18 e 34), pare avere questa paura e oltre la metà degli intervistati ha detto che investe pochissima energia o tempo per approfondire nuovi argomenti o nuovi interessi. Inoltre il FOMO, nell’ambito di un uso crescente dei social media, potrebbe distrarre le persone dall’apprendimento in aula e durante la guida di veicoli a motore.

Inoltre, le abitudini digitali malsane, come il controllo continuo di e-mail e aggiornamenti dei social media, potrebbero essere sovra-sviluppate e quindi portare ad impegno insufficiente nelle interazioni sociali.

Ecco, io l’ho sempre detto che le notifiche sono il male del millennio.

Ma soffermiamoci un attimo a leggere quanto appena scritto: i millennials, dai 18 ai 34, vivono il FOMO ogni giorno a quanto pare, ma non sono di certo i sedicenni ai quali ho fatto lezione. Ma allora, visto da questa prospettiva, dobbiamo allargare la forbice a molte più persone, senza pensare al fatto che soltanto i ragazzini vivono in un mondo alienato e distaccato dalla realtà, se i 34enni fanno parte dello stesso gioco.

Ok, quindi facendo il punto i nativi digitali puri sono ammalati di FOMO, i Millennials sono ammalati di FOMO. Ok… e noi?

Noi che per esempio siamo fuori dalla fascia della generazione Y dei millennials appunto, e tocchiamo i 40, non siamo forse ammalati di FOMO? Si, lo siamo eccome! La verità è che il FOMO è sempre esistito, seppur in forme diverse e probabilmente meno invasive o pubblicamente evidenti.

Ricordo benissimo che quando avevo 16 anni o 18 anni alla sera uscivo per andare al bar anche se non avevo voglia per nulla o ero ammazzato dalla stanchezza: il terrore di rimanere da solo, o meglio la paura di perdermi qualcosa di bellissimo, di “super fiko” e di indimenticabile era il vero motore delle mie serate. Ricordo che vivevo di un oscuro terrore misto di “se non ci sono capita qualcosa di fikissimo” e “se ci vado non succede nulla quindi posso stare a casa”. Questo insano equilibrio mi spingeva a uscire senza voglia di farlo e a passare, spesso, serate del tutto anonime e noiose.

Credits: kommunikationsforum.dk

Con la Rete è la stessa identica cosa: non sai MAI quando potrebbe capitare la cosa che ti cambia la vita, che ti fa svoltare: la volta in cui ti innamori, o in cui trovi un lavoro migliore o in cui ti fai delle risate o delle esperienze straordinarie che non succederanno mai più.

Il FOMO è fisiologico, normale e del tutto trasversale. E’ sempre esistito ed esisterà sempre, solo che adesso ha una forma più parassitaria e permeante.

Adesso i ragazzi vivono li: io andavo nel bar perché ero soggetto a FOMO, loro vivono su Facebook, Tumblr e SnapChat.

La grossa differenza sta in questo, nel subire il FOMO, nella modalità con cui esso si manifesta, non tanto nella sua esistenza. Quello che dobbiamo far capire ai nostri ragazzi è che lo spegnere il telefono ci porta a più benefici di quanti benefici possa portarci il partecipare a una cosa fichissima per una volta su un milione.

E’ importante fare capire loro che non si vide solo “lì dentro” ma si vive anche “lì dentro”.

NOI QUARANTENNI SIAMO PEGGIO DI LORO

E come lo possiamo fare? Ecco il vero punto: noi siamo peggio di loro. Noi abbiamo sempre il telefono in mano e il bello è che ci diamo anche delle scuse che stanno in piedi, che son stabili e forti: io con il telefono ci lavoro, devo condividere per mantenere alto il mio trust, il mio capo potrebbe chiamare, voglio tenere aggiornati i miei, aspetto delle mail importanti e bla bla bla.

Foto: apps-create.co.uk

Tutte solo chiacchiere. Siamo peggio di loro e quindi non possiamo insegnargli nulla. Quante volte avete visto delle coppie al ristorante stare con il telefono in mano, senza nemmeno guardarsi in faccia? Quante volte avete visto tavolate di amici a cena insieme, ognuno con il suo telefono davanti, ognuno con la sua cosa “importante” da valutare e da aspettare e da vagliare?

Ecco, non si insegna con le chiacchiere ma si insegna con l’esempio.

Penso che sia uno sforzo che dobbiamo fare un po’ tutti, credo ci dovremmo autodisciplinare e che dobbiamo capire che i nostri giovani sono in parte uguali a noi “per natura” e in parte uguali a noi “per educazione”.Sulla parte dell’educazione possiamo intervenire. Facciamolo.

RUDY BANDIERA

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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