Dentro FABLE: la protesi perfetta? E’ come un abito cucito su misura

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La nonna, sarta, mi accorciava la manica destra dei vestiti. Che fossero magliette, felpe o camicette non era un problema. Riusciva anche ai cappottini. Era un po’ più difficile certo, ma con l’aiuto di alcune spille prendeva la misura corretta, con ago e filo più grosso imbastiva e accorciava, infine cuciva a mano o con la macchina, ed era fatto. Lei la faceva facile. Dopotutto aveva frequentato il corso alla “Scuola di Taglio” di Milano quando aveva solo sedici anni. Veloce e precisa, dopo ore di prove quella manica più corta non avrebbe dovuto fare pieghe, tanto saremmo state sicure, entrambe, che la mano non sarebbe cresciuta.

Puntualmente i vestiti prendevano un’altra forma. Era strano, perché erano specifici solo per me.

Insomma, se li “ereditavo” dalla mia cuginetta più grande, sapeva forse che ci sarebbe stata qualche modifica. Questa non è una rivista di cucito, lo so, ma la nonna misurava anche con metro e penna per essere più tranquilla che il vestitino che avrei indossato sarebbe stato giusto per quella manina più corta, né un centimetro più alto, né più basso.

E’ realizzare un abito su misura. Come la parte meccanica di FABLE (qui il post precedente del diario sul segnale) deve avere le dimensioni giuste, così la parte elettronica che comanderà i motori per il movimento della mano deve essere calibrata al tuo corpo. – mi racconta Orlando Rossi, elettronico del team.

Così è stato domenica scorsa. Quando prendevo lezioni private di meccattronica, un nuovo termine tra meccanica ed elettronica.

Due ore di prove per prendere le misure giuste, anche Orlando con metro, schizzi e numeri.

Doveva essere preciso, perché abbiamo constatato che un leggero cambiamento degli elettrodi sulla pelle non avrebbe segnalato l’intensità, quello che vi raccontavo la volta scorsa.

“Gli elettrodi necessari per rilevare correttamente il segnale sono tre: due sono quelli che effettivamente lo rilevano, il terzo (quello posizionato sulla spalla) viene utilizzato come livello di riferimento e viene posizionato di solito in un punto neutro.” Per neutro si intende un punto che non è coinvolto durante l’attivazione del muscolo di cui si vuole misurare l’attività.

“Di solito, quando si vuole misurare il segnale elettromiografico del bicipite, i punti di riferimento sono il gomito, la spalla, il polso o in alcuni casi viene posizionato in prossimità del muscolo antagonista.

Il muscolo antagonista del bicipite è il tricipite.” aggiunge Orlando.

Abbiamo proceduto in questo modo perché da sola non sarei riuscita a posizionarlo sulla spalla e per fortuna l’elettrodo neutro sul muscolo antagonista funzionava.Per spiegarmi l’importanza dell’elettrodo di riferimento Orlando mi ha fatto un esempio culinario: si prende un contenitore graduato per preparare una torta di quelli che per esempio segnano quanti dl di latte devi versare. La ricetta dice che bisogna avere 50 dl di latte? Se il recipiente è vuoto il livello di partenza è 0, quindi se si versa il latte fino a raggiungere la tacca che indica 50 dl si è misurata la quantità corretta. Se per qualche motivo il contenitore non è vuoto ma già riempito fino a 10 dl, aggiungendo del latte fino a 50 dl in realtà si verserebbero solamente 40 dl effettivi.

Ecco che se si parla di cucina bisogna far attenzione alle dosi e calibrare il tutto per non eccedere con lo zucchero, ad esempio. In elettronica si chiama calibrazione e le lezioni private di domenica consistevano anche in quello. Molto utile perché permette di calcolare il livello minimo e massimo del segnale rilevabile dagli elettrodi una volta posizionati. Il livello minimo viene letto facendo acquisire il segnale per quattro secondi in condizioni di riposo (senza contrazione), il livello massimo invece acquisendo il segnale per quattro secondi in condizione di contrazione.

“A partire da questi valori viene stabilita una prima soglia calcolata come media tra le due misurazioni.” mi spiega Orlando. Da quest’ultima un altro step. Nelle prime prove, con Irio, non li avevo visti. Sono i servomotori.“Particolari motori, muniti di un sistema che permette di controllarne la posizione angolare. Ne esistono di tutte le taglie, dai micro per modellismo a servo industriali capaci di spostare un grande peso.” Il servomotore deve essere scelto in modo tale da avere le caratteristiche giuste per permettere a FABLE di poter afferrare un oggetto e tenerlo.

Mentre giocavo a braccio di ferro, 3 erano i fili collegati ai servomotori: due per alimentare il motore (collegato alla batteria), l’altro per controllare la posizione (collegato ad Arduino). “Il motore deve essere collegato a una batteria esterna perché consuma una certa quantità di corrente che la nostra scheda Arduino non è in grado da sola di potere fornire.” racconta Orlando

I servomotori sono importanti perché permetteranno di aprire e chiudere la mano attraverso la contrazione del muscolo. Il segnale acquisito attraverso Arduino viene elaborato dal software che rileverà ogni sua variazione, permettendo di aprire o chiudere FABLE. La parte più complicata è stato mantenere il braccio destro in una posizione inconsueta per un po’ di tempo, infatti attraverso più prove il team apporterà delle migliorie. Intanto posso esser ben contenta che il servomotore si sia attivato e che in un modo o nell’altro la mano funzionerà.“Una possibile miglioria che si può fare per evitare affaticamenti è eseguire una contrazione che dura per un certo tempo per far capire al software che c’è l’intenzione di eseguire un movimento della mano. E quando il software rileva che il segnale ha superato la soglia limite per l’intervallo di tempo prestabilito attiva il servomotore per effettuare la chiusura, memorizzando la nuova posizione della mano”.

Avevo provato a indossare la protesi estetica sette anni fa, aveva il gomito sebbene io ce l’avessi già, e quindi risultava doppio e all’esterno. Non mi piaceva. Dalle maniche lunghe tagliate ero passata alle tre quarti.

Non volevo che si vedesse quel pezzo di troppo.

E anche se faceva caldo non importava, io mettevo le maniche a tre quarti. Perché mi sentivo a disagio con quella cosa che allungava la mia manina. Per due mesi, però, ho fatto il cambio dell’armadio. Per utilizzarla, forse, per misurarmi con primi sguardi diversi. E forse mi avrebbero guardato negli occhi e non giù. a parole, non volevo sbagliare i passaggi.

Domenica scorsa ho chiamato la nonna sarta. Ho preso lezioni private anche lì, a parole, non volevo sbagliare i passaggi. Negli anni ’60 rammendava sotane o braghe, nell’ordine del dialetto veneto gonne o pantaloni. A Milano faceva dei bellissimi modelli da cerimonia. La saluto, la ringrazio e lei:

“Fabia, però non sono più brava come una volta, ho perso la mano!”

“Nonna!”

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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