Dalla Wikicrazia ai partiti hacker: La democrazia nell’era 2.0

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Il cambiamento può avere centinaia di volti diversi. Sono quasi passati due mesi da quando il laboratorio di Changemakers for Expo Milano ha aperto le porte e le 10 startup selezionate hanno fatto il loro ingresso nell’incubatore promosso da Telecom Italia e Expo Milano 2015. Definirsi “changemakers” è un’affermazione ambiziosa. Per quasi due mesi ci siamo interrogati insieme ai 34 startupper, che praticamente vivono nel laboratorio di Via Ampère qui a Milano, su cosa significhi davvero essere dei “cambiatori” e, soprattutto, su come si possa generare un cambiamento in grado di essere all’altezza delle sfide di questo mondo così complesso.

Abbiamo affrontato la questione partendo sempre dalla prospettiva imprenditoriale del singolo. Il nostro, d’altronde, è un acceleratore d’impresa: qui la visione del futuro è sempre accompagnata dalla concretezza dei numeri, dai business plan e dal tanto agognato break even point.

Eppure giovedì scorso, per una serata, la nostra prospettiva è cambiata, o meglio, è rimasta la stessa, ma ha alzato semplicemente lo sguardo. Abbiamo impiegato gli strumenti che i nostri 10 team di startupper utilizzano per fare impresa, come gli open data e lo sviluppo di community collaborative, per interrogarci su come questi stiano cambiando la società che ci circonda e, in particolare, il modo in cui si formulano e attuano le politiche pubbliche.

Come sta cambiando la democrazia grazie a quegli strumenti che sono diventati il simbolo del mondo economico in cui si muovono i nuovi imprenditori?

Ce lo siamo chiesti insieme ad Alberto Cottica, advisor su online citizen engagement al Consiglio d’Europa. Autore del libro Wikicrazia, ed esperto di politiche collaborative, Alberto era senza dubbio la persona giusta per guidarci negli anfratti di questo dibattito così complesso e proprio grazie a lui abbiamo unito alcuni puntini che erano rimasti in sospeso in queste settimane di riflessioni sul cambiamento.

Ancora oggi, le nostre politiche pubbliche sono basate sul concetto antichissimo di delega. Piuttosto logico se si pensa che in un’epoca in cui solo una minima parte della popolazione era alfabetizzata, era necessario affidare la gestione della Cosa Pubblica a chi era più istruito. E’ da quel mondo che deriva la percezione del cittadino come fruitore passivo di politiche pubbliche, decise per lui da persone “più qualificate”.

I presupposti però cambiano completamente, in una società in cui non solo il 99% della popolazione è alfabetizzata, ma buona parte dei cittadini vantano anche un alto livello di istruzione. In un quadro del genere forse le persone non hanno più così bisogno solamente di qualcuno che scelga al posto loro. Potrebbero voler giocare una parte molto più attiva e, perchè no, proporre alternative concrete a chi si occupa di politiche pubbliche.

Come ci ha ricordato Cottica, il concetto di democrazia partecipativa ha sempre accompagnato la riflessione sulla democrazia. In passato però si è sempre stati convinti che la partecipazione potesse essere applicabile solo su piccola scala. L’ amministrazione di un piccolo villaggio, ad esempio, poteva essere attuata con metodi partecipativi ma l’applicazione degli stessi metodi su larga scala rimaneva assolutamente utopica, per i costi esorbitanti che avrebbe comportato.

In passato però non esisteva la rete, quello strumento abilitante, in grado di mettere le persone in contatto tra loro, permettendo a chiunque di interagire anche a migliaia di chilometri di distanza a costi irrisori.

D’altra parte, come ci ha fatto notare Cottica l’ esempio più eclatante di partecipazione su larga scala lo abbiamo davanti ogni giorno, è Wikipedia, la più grande enciclopedia al mondo, in cui ognuno può contribuire, offrendo agli altri ciò che sa, gratuitamente.

Da una parte quindi vi è un cambiamento sociale, il grado d’istruzione sempre più elevato dei cittadini, che li mette in condizioni di partecipare attivamente ai processi decisionali, dall’altra la presenza della rete, uno strumento che non solo è in grado di metterli in connessione tra loro, ma che consente l’analisi e la mappatura delle interazioni tra i singoli, permettendo addirittura la progettazione di una conversazione all’interno di una community e di pianificarne la scalabilità.

Un potenziale enorme insomma, destinato a cambiare il modo di intendere il termine democrazia nei prossimi anni, che però, deve essere esplorato con cautela. Lo stesso Cottica ha affermato infatti la necessità di sperimentare la democrazia 2.0 in settori limitati dell’amministrazione.

Il “black hat” hacking, ovvero l’hackeraggio malevolo della democrazia, non è uno scenario così remoto. Un esempio su tutti il caso di United Estonia, il finto partito, creato dal gruppo teatrale NO99 che, nel 2010, proprio grazie alla rete, in sole sei settimane, era riuscito a raccogliere l’adesione di migliaia di cittadini estoni, mettendo a nudo le fragilità del sistema e mostrando anche il potenziale di manipolazione degli strumenti della rete.

Il cambiamento appunto ha centinaia di volti diversi. Per costruire la democrazia del futuro bisogna procedere a piccoli passi.

In queste settimane spesso ci siamo chiesti se, in un’epoca così complessa, il singolo possa davvero fare la differenza. La risposta che ci siamo dati è che forse una delle cose un pò più semplici, in questo mondo così complesso, è proprio la capacità d’azione dell’individuo.

L’iniziativa di una persona può essere intercettata, raccolta e amplificata dalla rete e questo non può che farci pensare che il mondo wiki è proprio il mondo migliore possibile per chi vuole diventare changemaker e, forse, non c’è mai stata un’epoca migliore per chi ha intenzione di cambiare tutto.

Ottavia Spaggiari

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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