Dal libro alla realtà, ecco come l’uomo andrà su Marte (forse)

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Oggi parliamo di esplorazione umana di Marte. Cercheremo di mettere a confronto l’avventura raccontata nel libro The Martian di Andy Weir (l’Uomo di Marte, in Italiano) con Mars One, una missione di sola andata su Marte tutt’altro che fittizia. Confrontando la fantasia di un libro molto ben scritto con la realtà di una missione definita in maniera molto approssimativa, esamineremo (grazie al libro) le problematiche che gli ipotetici astronauti di Mars One si troveranno ad affrontare prima di andare incontro a morte sicura su Marte.

Perché è questa la follia che ha spinto oltre 200 mila persone ad applicare alla missione.

Come tutte le idee decisamente fuori dagli schema, Mars One ha avuto una forte risonanza mediatica e ci è stato detto che ben 200.000 persone avevano mandato la loro domanda da ogni angolo della terra.

Forse la cifra non corrisponde alla realtà, tuttavia, dopo una prima scrematura, i volontari astronauti sono stati ridotti ad un gruppo di 1.000, dai quali sono poi stato selezionati i magnifici 100 (i Mars 100) che continueranno la loro strada verso Marte, non si sa ancora bene come.

Credits: solarsystem.nasa.gov

Per il momento si accontentano di rilasciare interviste dal titolo “Why I’m volunteering to die on Mars” (“Perchè mi offro di morire su Marte). Non si illudono, ma, tutto sommato, non si preoccupano più di tanto —non sanno bene quando e se partiranno. In altre interviste si paragonano ai padri pellegrini che sono sbarcati per primi sulla costa Est degli Stati Uniti all’inizio del ‘600. I coloni andavano verso l’ignoto per iniziare una nuova vita.

La prima colonia americana di Jamestown vide morire quasi tutti gli abitanti che non resistettero agli inverni freddissimi, ai magri raccolti, agli indiani cattivissimi (a piena ragione, erano a casa loro), alle malattie e alle difficoltà di una nuova vita. Non male come inizio. E almeno non si dovevano preoccupare dell’aria da respirare, dell’acqua da bere. Potevano assumere che avrebbero trovato terreno da coltivare. Su Marte non sarà così.

I primi 4 coloni che si imbarcheranno in un Falcon Heavy di SpaceX nel 2026 (queste sono le previsioni al momento) non troveranno aria, acqua in superficie o un campo magnetico per proteggerli dalla pioggia di raggi cosmici.

E farà un freddo cane.Infatti su Marte l’atmosfera è molto più rarefatta di quella terrestre ed è composta principalmente da anidride carbonica.

La pressione atmosferica è così bassa che non può esistere acqua liquida in superficie. Non è un luogo ospitale. In sostanza, le condizioni sono proibitive e un essere umano che non può vivere senza un rifugio supertecnologico pressurizzato e riscaldato, capace di produrre ossigeno, riciclare l’acqua portata da terra oppure estratta dal sottosuolo (dove è probabile che si nasconda), senza una tuta pressurizzata per le passeggiate, senza una preparazione a 360 gradi e una tecnologia che ancora non è stata sviluppata.

Tutte cose che il nostro Mark Watney (il protagonista di The Martian) ha a disposizione.

Se da un lato persone reali si dichiarano disposte a morire per l’incredibile impresa, dall’altro un astronauta di fantasia di morire non ha nessuna voglia. Anche se sembra proprio che la fortuna gli abbia voltato le spalle. Mark Watney fa parte della missione ARES 3 della NASA. Composta da 6 astronauti, il loro compito è quello di passare un mese sulla superficie del pianeta rosso per poi usare un apposito veicolo di rientro (precedentemente “spedito” su Marte) per tornare alla loro astronave (parcheggiata in orbita) e tornare a casa. Una violentissima tempesta di sabbia obbliga la squadra ad una rapida evacuazione anticipata. Mark viene colpito da un detrito che gli buca la tuta e lo ferisce. Su Marte non si può sopravvivere senza una tuta pressurizzata. I compagni lo credono morto e partono senza di lui.

Ma Mark non è morto. E’ da solo, su Marte, e con nessuna speranza di sopravvivenza.

E’ questa la premessa di The Martian, romanzo science fiction (ma neanche tanto fiction) che ha spopolato prima negli States e, poi, nel resto del mondo .

Attenzione: questo articolo contiene spoiler.

Il sangue coagulato ha momentaneamente chiuso la falla nella sua tuta. Watney riesce a trascinarsi nella casa marziana (una sorta di tenda) dove trova energia, aria, acqua e cibo. Quello che gli manca è la possibilità di contattare la Terra: il detrito che l’ha colpito era un pezzo dell’antenna. No antenna, no comunicazioni. La situazione è seria ma non disperata, almeno per il momento. I pannelli solari forniscono l’energia che lo riscalda, fa funzionare l’Oxigenator (che dà ossigeno per la sua casetta pressurizzata) e l’apparecchio per il riciclo dell’acqua. La missione dei 6 astronauti aveva una durata prevista di un mese. Solo su Marte, Watney deve trovare il modo di sopravvivere per 4 anni, quando arriverà la nuova spedizione ARES 4. Ha un grosso problema: non avrà abbastanza cibo per sopravvivere 4 anni (conclusione a cui giunge dopo calcoli molto ottimistici).

Ma Watney è un botanico, ha con sé alcune patate che avrebbe dovuto fare parte del pranzo del Ringraziamento per i 6 astronauti della missione Ares 3. Calcola che, se riuscirà a farle crescere, dovrebbe ottenere abbastanza calorie per sopravvivere. Ora manca del terreno fertile per piantarle. Usa del terreno marziano e le proprie feci per popolarlo di batteri. Nuovo problema: non avrà abbastanza acqua per mantenere sé stesso e il raccolto. Utilizzando del carburante e una reazione estremamente pericolosa, riuscirà a produrre abbastanza acqua, ma rischierà di saltare in aria.

La sua è una avventura in cui le materie prime, l’energia solare (ed elettrica), l’aria che respira, l’acqua e il cibo sono le condizioni limitanti (specialmente quando decide di mettersi in viaggio con il SUV marziano).

Ad ogni piccolo passo verso la sopravvivenza, un nuovo problema lo minaccia di morte certa. E sono proprio i problemi il tema del libro. Ogni ostacolo, apparentemente insormontabile, viene analizzato e scomposto e Watney, in qualche modo, riesce a trovare una soluzione, con una determinazione e perseveranza inumane. Come lettori, veniamo sempre e comunque guidati nel processo mentale del protagonista, tanto che a metà lettura non è difficile anticipare le soluzioni che Watney si inventerà.

Se in prima approssimazione può apparire una rivisitazione moderna del tema naufrago sull’isola deserta, The Martian è in fondo un libro che parla di scienza e del suo metodo.

Pur usando un gergo che può apparire di settore, ogni passaggio è illustrato in maniera chiara e “colloquiale” nel diario del protagonista. L’ambiente è molto più ostile di quello di una accogliente isola tropicale, ma il protagonista è tecnologicamente avanzato e può contare su quasi tutta la strumentazione immaginabile oltre ad una preparazione che va dalla botanica, alla chimica, all’informatica, passando dall’elettronica. Da questo punto di vista è più simile ai protagonisti dell’Isola Misteriosa di Jules Verne, piuttosto che a Robinson Crusoe o a Tom Hanks in Cast Away.

La novità è la dimensione “comunicazione”. Watney non può comunicare con la Terra, ma sulla Terra hanno capito che è vivo: con i satelliti in orbita si accorgono delle tracce della sua attività. Alla NASA comincia il programma “Come tenere vivo Mark Watney fino alla prossima missione ARES”. Non possono tenere la notizia riservata, tutte le immagini dei loro satelliti sono pubbliche.

E’ l’epopea dell’Apollo 13 glorificata nel mondo social.

E’ interessante vedere come viene trattato il tema del rapporto con i media e con l’opinione pubblica. La NASA ha addosso gli occhi di tutto il mondo: devono trovare il modo di salvare Mark. Ma prima di tutto glielo devono far sapere.

Con i satelliti in orbita seguono gli spostamenti di Mark, ma non possono fare altro che guardare. Sarà l’astronauta a risolvere il problema con un colpo di genio. Andrà a recuperare il vecchio Pathfinder, che giace spento a qualche giorno di viaggio (con un SUV marziano) dalla sua base, con la speranza di riuscire a rimetterlo in funzione. L’avventura è entusiasmante e Mark riuscirà a stabile una canale di comunicazione con la Terra. Prima balbettante, poi quasi normale —sempre tenendo conto del ritardo dovuto al tempo di transito. “Qui Marte, se mi sentite muovete la telecamera, passo”, scrive l’astronauta su un foglio piazzato davanti alla telecamera di Pathfinder. Il messaggio impiega 20 minuti ad arrivare sulla Terra, dove rispondono muovendo la telecamera. Non è un caso, al JPL avevano capito che Mark voleva rimettere in funziona Pathfinder e si erano attrezzati, richiamando gli ingegneri che avevano collaborato alla missione. 20 minuti dopo Mark Watney è la persona felice su Marte.

Il mondo esulta ma la battaglia non è vinta: bisogna riuscire a recuperarlo, anche migliorando la qualità delle comunicazioni.

Nonostante le risorse della NASA, un viaggio tra la Terra e Marte dura circa parecchi mesi. La durata esatta dipende dal tipo di propulsione utilizzato e dal momento del lancio, visto che i pianeti si muovono ed è quindi necessario rispettare i loro periodici “allineamenti”. Con propulsione chimica ci vuole circa un anno, con propulsione nucleare il viaggio si riduce circa della metà. Ovviamente le condizioni non sono favorevoli per il protagonista.

Qui entra in gioco la passione dell’autore per la meccanica celeste e per lo spazio. Senza nessun input dalla NASA, Weir è riuscito a ricreare l’ambiente dell’agenzia spaziale e a proporre orbite, tempi di viaggio e dati scientifici reali, calcolati fino al giorno esatto in cui è ambientato il libro. Le manovre che propone sono rischiosissime e al limite del possibile, ma solo così i compagni di Mark (che stanno tornando sulla Terra) potranno tornare a prenderlo, forzando la mano alla NASA.

Prima del lieto fine ci saranno molti colpi di scena (non tutti credibili) ma il messaggio del libro di Weir è forte e chiaro. L’esplorazione di Marte è una cosa terribilmente difficile. Proprio per questo, Andy Weir non riesce proprio a prendere sul serio Mars One. “I don’t take Mars One seriously at all” ha detto al New York Times.

Credits: Wikipedia

Difficile biasimarlo. L’avventura proposta da Mars One sembra un modo complicato per andare incontro a morte sicura. O per mandare in onda un seguitissimo reality show. C’è puzza di bruciato, racconta uno dei finalisti, che sospetta sia tutto una grande truffa. Le domande (complete del pagamento della tassa di iscrizione) ricevute sono state 2761, ci dice, non 200 mila come sostengono vari media outlet. Mars One, poi, chiede il 75% dei proventi derivanti dalle interviste dei candidati (come donazione). E non ha mai incontrato nessun rappresentate della compagnia di persona: se inizialmente il processo di selezione sarebbe dovuto essere un lungo test della durata di svariati giorni, alla fine è stato ridotto ad una Skype call di 10 minuti. Il reality show in programmato da Endemol (che avrebbe dovuto garantire a Mars One circa 6 miliardi di dollari) sembra non essere più negli accordi.

Il futuro per Mars One sembra essere tutt’altro che “roseo”.

Nel frattempo il 25 Novembre The Martian uscirà nelle sale diretto da Ridley Scott (Il Gladiatore, Alien, Blade Runner) con Matt Damon nei panni di Mark Watney.

Sarà un successo planetario.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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Scritto da chef

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