Da un software open source il primo motore di ricerca italiano, Arianna. Ecco la sua storia

innovaizone

Antonio Converti, ceo di Italiaonline, una laurea in informatica a Pisa, manager in Olivetti, nel 1995 incontra il web: lavora a Italia Online, dove crea il motore di ricerca Arianna, poi in Wind, dove gestisce lo start-up della divisione Internet, e poi lo start-up di 3 Italia. Nel 2011 gestisce lo spin-off da Wind del portale Libero e del service provider ITnet. Un anno dopo, alla guida di Libero Srl, conclude l´acquisizione di Matrix da Telecom Italia: nasce così la “nuova” Italiaonline, primo operatore internet in Italia. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare la sua storia e quella dei primi passi del web in Italia.

1) Quando ha iniziato ad occuparsi di Internet?

In verità la prima volta che mi sono avvicinato al mondo di Internet si chiamava Arpanet.

Ai tempi ero appena laureato e lavoravo per Olivetti; sviluppavo un compilatore in collaborazione con una società americana e usavamo Arpanet per scambiarci informazioni. Arpanet è stato il precursore di Internet e Pisa è stato il primo nodo Arpanet in Italia; parliamo più o meno del 1986, ero laureato da qualche anno. (Leggi anche “Sono Luciano Lenzini e 30 anni fa ho portato Internet in Italia“)

2) Cosa succedeva in quegli anni? Come si viveva, da pionieri, la nascita di Internet, di qualcosa che prima non esisteva?

Internet si è manifestata, soprattutto in termini di potenziale business, con il World Wide Web. Io ricordo la prima volta che vidi il World Wide Web: me lo fece vedere un professore del Fraunhofer Institute in Germania.

Ai tempi c’erano i terminali a caratteri, non erano terminali grafici, e mi fece vedere un articolo dove in fondo, nella bibliografia, c’era un “carattere cappelletto” andando sul quale e premendo il “ritorno carrello” si saltava nell’articolo riferito nella bibliografia: quello era il primo vagito del World Wide Web che poi ha rivoluzionato il mondo Internet.

3) Quando avete capito che internet poteva diventare un business?

Internet è cominciata a diventare un business dopo il World Wide Web, che ha cominciato ad attivare idee nuove nel mondo del publishing, dei contenuti, nel mondo del commercio elettronico e così via. Man mano che Internet cresceva il primo focus è stato quello di aiutare gli utenti a ritrovare le informazioni su Internet; questo avveniva probabilmente a metà degli anni ’90.

Esistevano due approcci: l’approccio in cui si catalogavano i siti Internet con delle persone e si facevano quelle che si chiamavano le guide a Internet; Yahoo! nacque così; ma in Italia anche Virgilio nacque così.

E poi invece l’approccio in cui si catalogavano i siti Internet usando degli algoritmi; e questo era ai tempi l’approccio di Altavista – credo fosse il ’95 – e, nel nostro piccolo, in Italia, di Arianna, nel 1996. E quindi i primi motori di ricerca basati su algoritmi di spidering, di indicizzazione e di ranking che poi sono quello che oggi è diventato Google.

L’idea di Arianna è nata da un team di ricerca di quella che allora si chiamava Olivetti Telemedia

Fu messa in piedi a partire da una ricerca fatta nell’Università del Colorado, che si chiamava Progetto Harvest: avevano sviluppato del software open source per fare spidering dei siti.Noi usammo quel software, poi creammo gli algoritmi di indexing e di ranking, anche con la collaborazione del Centro Serra di Pisa.

Ricordo che avevo due ragazzi come borsisti che facevano la tesi, e che poi fecero la start-up dietro alla tecnologia di Arianna; tra l’altro la tecnologia di Arianna fu usata poi anche per superEva, da cui nacque Dada, che oggi è una società quotata in borsa, e infine anche per un terzo motore di ricerca che si chiamava Janas, il motore di ricerca di Tiscali, che poi acquisì la start-up.

4) Perché ci fu lo scoppio della bolla della net economy?

Lo scoppio avvenne, secondo me, per un motivo puramente finanziario: ci fu troppo entusiasmo e troppa pubblicità intorno a dei business che crescevano velocissimamente, alcuni dei quali erano ancora immaturi.Posso fare un esempio: noi di Arianna avevamo capito ai tempi che il business legato ai motori di ricerca era quello di vendere le keyword e in verità ci avevamo anche provato. Ovviamente essendo l’Italia un mercato particolarmente immaturo la cosa non funzionò. Però ci provarono anche giganti più grossi.Dopo Altavista ci provò una società che si chiamava Inktomi, la prima a mettere in piedi un marketplace, basato su un’asta in cui si potevano comprare le keyword e fare pubblicità secondo lo stesso principio oggi utilizzato da Google.Ebbene, Inktomi fu il primo tentativo ma fallì perché l’algoritmo con cui veniva gestita l’asta poteva essere manipolato dal software: cioè qualcuno sviluppò del software che vinceva sempre l’asta e quindi mise in crisi l’algoritmo di Inktomi.

Poi arriva Google che implementa il meccanismo d’asta. E’ quella che si chiama asta di Vickrey – dal nome del premio Nobel per l’Economia – ed è un meccanismo che fa sì che il compratore e il venditore siano “obbligati” a comportarsi in modo fair. Da quel momento in poi il mercato delle keyword di Google è decollato.Questo per dire che ci sono stati tentativi artigianali come quello nostro di Arianna. Poi un tentativo industriale come quello di Inktomi che è fallito. Dopodiché Google ha messo in piedi il suo. Quindi c’è stato un processo di maturazione che ha portato al giorno d’oggi, dove ci sono colossi ben stabiliti nel settore di Internet.

5) Cosa è rimasto di quegli anni nell’Italia di oggi?

Sono rimaste fortunatamente delle persone. Ad esempio alcune persone del team di Arianna ancora lavorano con noi nei laboratori di Pisa. E sono rimaste anche molte applicazioni e molto software sviluppato in quegli anni. Noi abbiamo integrato sotto il nuovo marchio Italiaonline quello che era Virgilio, quindi la guida a Internet dei tempi; quello che era Libero; adesso pure superEva.

Anche la piattaforma di e-mail che sviluppammo ai tempi è ancora oggi on line ed è il sistema di posta elettronica più diffuso in Italia.

6) Ci piacerebbe che ci raccontasse in breve qualche aneddoto de Il ritorno di Mina del 2001

Eravamo in Wind e facemmo il primo esperimento di streaming in modalità multicast in Italia, trasmettendo questo concerto di Mina da un posto in Svizzera che credo fosse uno studio di Lugano. Mi ricordo perfettamente il pianista: Danilo Rea, troppo bravo. Ci fu anche un grande lavoro tecnico per mettere insieme diversi operatori, dal momento che ci si aspettava molto traffico.

Devo confessare che all’inizio ce ne fu troppo, più di quello che ci si attendeva, e quindi se non vado errato per circa mezz’ora siamo andati in crisi violenta. Poi ci siamo ripresi e il concerto è andato avanti.

A questo proposito vi racconto un aneddoto: il giorno dopo un giornalista, di cui non faccio il nome, mi chiamò mentre tornavo in macchina da Roma a Pisa, chiedendomi dei numeri su quante persone avevano visto il concerto di Mina. E io gli dissi un numero nell’ordine di qualche centinaia di migliaia. Nossignore: voleva un numero più grosso. Allora gli diedi il numero dei ‘contatti’. In http ci vuole un contatto per ogni elemento di una pagina web. I quali sono parecchi. Quindi gli dissi: 50 milioni di contatti. Però intendevo contatti http, non persone! Bene. Il TG1 aprì titolando “Grande successo per il concerto di Mina: 50 milioni di spettatori”.

E per giustificare quei 50 milioni di utenti che in Italia non c’erano di certo a quei tempi, disse che c’erano stati tanti collegamenti dall’estero: in particolare dal Sudamerica e da paesi dove Mina era molto conosciuta. Io lì mi preoccupai perché pensai: “Qui qualcuno mi fa tana”. Dopo qualche ora mi chiama sul cellulare quella che secondo me è la persona più esperta di Internet in Italia. Quando vedo il suo nome sul telefono capisco che sono in trappola.

E invece lui mi dice: “Ho visto il telegiornale. Complimenti!”. Oh… Se l’è bevuta anche lui!

Da lì ho capito la potenza dei media.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments

What do you think?

Scritto da chef

lifestyle

Gli hacker russi hanno fatto vincere Trump: un’altra fake news?

innovaizone

Chi c’è dietro Anonymous