Cosa sono le future cities e chi sono gli italiani che le stanno già facendo

ambiente

Vivere in una città come Londra mette di fronte ad una serie di difficoltà che solo chi ha vissuto qui per qualche anno può capire. E’ una città che ci fa sentire soli per via delle grandi distanze e per la mancanza dei centri e delle piazze attorno alle quali noi italiani siamo cresciuti; ci mette in difficoltà per il costo delle case degli affitti dovuto all’eccesso di domanda degli spazi in confronto all’offerta; ci fa sentire la pressione degli oltre 11 milioni di persone che la abitano, dell’inquinamento che producono, e del crimine che percepiamo. Insomma Londra, come tante altre città al mondo, deve affrontare in maniera decisa quello che sarà il suo futuro e deve immaginarlo in base a tutta una serie di sfide che le vengono poste.

Ma non si tratta di sfide comuni solo alla capitale britannica. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite il 73% della popolazione Europea vivrà in agglomerati urbani piuttosto che in zone rurali, mentre a livello mondiale si parla del 66% che potrebbe non sembrare cosi incredibile se non fosse che nel 1950 era solamente il 30% a vivere nelle città.

Per mettere questi numeri in prospettiva pensiamo ad una popolazione urbana che a livello mondiale ci si aspetta che possa raddoppiare nel giro di 100 anni. Questo ci pone davanti ad una serie di problematiche che per troppo tempo ci si è aspettato che venissero risolte da architetti ed urbanisti, mentre al giorno d’oggi, si tratta un problema alla cui soluzione tutti dobbiamo e possiamo partecipare.

Credits: punditfromanotherplanet.com

COSA SONO LE “FUTURE CITIES

Immaginare le città del futuro in maniera che rispettino criteri di sostenibilità non solo ambientale ma anche sociali che permettono il prosperare delle condizioni naturali che sottendano la felicità e il benessere umano, è ciò intorno a cui gira il termine di “future cities”. Basti pensare che secondo la Banca Mondiale le città nel mondo contribuiscono per l’80% del PIL globale e si tratta di una percentuale destinata a crescere. Quindi anche il benessere economico che si ripercuote poi anche sulle aree rurali, dipende da come la vita, e quindi l’economia, riuscirà a prosperare nelle città del futuro.

Le “future cities” dovranno affrontare sfide legate alla sicurezza degli spazi, alle catastrofi ambientali, alla sovrappopolazione, allo sfruttamento degli spazi sociali, all’ineguaglianza, all’invecchiamento della popolazione, al cambiamento e climatico e così via.

Pochi anni fa immaginavamo che nelle città del futuro avremmo avuto auto volanti che si pilotavano da sole, skateboard senza ruote e Martin MacFly che arrivano dal futuro grazie a macchine del tempo alimentate ad uranio. La realtà invece ha imposto un modello di sviluppo urbano che non fosse teso alla creazione di nuovi edifici o di nuovi mezzi, ma piuttosto all’implentazione di ciò che avevamo già. Migliorare ed innovare piuttosto che ricostruire.

Di come progettare le città del futuro si parla da oltre un secolo, ma il termine “future cities” abbiamo iniziato a usarlo dall’inizio degli anni ’90.

Esistono diversi nomi che sono stati attribuiti nel corso degli anni ai modelli di città del futuro. Il più importante e diffuso dei quali è stato “sustainable cities” ovvero città sostenibili, comparso più o meno all’inizio del nuovo millennio, proprio quando la popolazione urbana mondiale ha superato quella rurale delle campagne.

SMART CITIES: UN MODELLO DI CITTA’ DEL FUTURO

L’abbattimento del costo della tecnologia, la diffusione delle conoscenze necessarie e il boom delle tech startup ha fatto sì che negli ultimi anni sentiamo spesso utilizzare il termine in maniera intercambiabile con quello di smart cities, comparso non molto più tardi di 5 anni fa, e al quale i lettori di questa testata avranno spesso sentito fare riferimento. Tecnologie che prima sembravano fantascientifiche, sono ora realtà o almeno lo sono a livello potenziale.

Palazzi che provvedono da soli al loro fabbisogno energetico, case con termostati che imparano dalle abitudini di chi le abita, pavimenti che producono energia mentre ci camminiamo sopra, o strade in grado di illuminarsi per segnalarci i pericoli, sono solo alcune delle tecnologie di cui potranno disporre le città intelligenti del futuro.

L’internet of things è solo una delle industrie che coinvolte nella progettazione delle città del futuro. Sensori che raccolgono dati saranno posizionati ovunque nelle nostre città dove anche i vasi delle piante potranno un giorno avere la loro pagina social (Lifely) e i droni controlleranno la qualità delle nostre risorse naturali. Le opportunità portate dal’IoT nelle smart cities valgono qualcosa come 234 miliardi di Euro, ovvero il 40% dell’intero influsso economico portato dall’IoT.

Città intelligenti sono città che ci parlano, sostiene Carlo Ratti professore italiano e luminare del settore, direttore del Senseable city lab del MIT.

Seanseable è un gioco di parole che mescola due termini inglesi: sensible (sensibile, cosciente) e able to sense (in grado di sentire).

Il prof Ratti sostiene infatti che grazie al quantitativo enorme di dati che le nuove tecnologie riescono a raccogliere, siamo in gradi di analizzare e di affrontare le sfide che le città del futuro ci mettono di fronte. Ad esempio i dati di flusso del traffico delle automobili nelle città possono suggerire a chi si occupa della mobilità urbana quali siano le zone in cui intervenire. Durante le olimpiadi del 2012 esisteva a Londra un app che, basandosi sugli open data diffusi dal dipartimento dei trasporti, riusciva a suggerire ai suoi utenti quali fossero le stazioni della metropolitana da evitare duranti i periodi di massimo afflusso di turisti.

Alle “future cities” è dedicato l’ultimo libro di Stefano Tresca uno dei 39 Founding Member di Level39, l’acceleratore dedicato al FinTech ed alle Città Intelligenti più grande al mondo. Stefano è uno che di startup e di business ne capisce. «Dal punto di vista delle startup, è il mercato più grande insieme al fintech. Dal punto di vista umano, è probabilmente il settore più importante di questa generazione e della prossima», mi racconta. E aggiunge, «la nostra generazione è destinata ad assistere alla creazione di un numero di nuove città e di nuovi palazzi senza precedenti nella storia. Una volta costruite, le città non si modificano facilmente. Se oggi costruiamo città “stupide”, fatte in modo da incoraggiare traffico, inquinamento, solitudine, spreco energetico, e una pessima qualità della vita, saremo costretti a viverci per intere generazioni».

PERCHE’ E’ NECESSARIO INNOVARE NEI TRASPORTI

Le città del futuro dovranno quindi affrontare anche e soprattutto il problema della mobilità. Senza un sistema di trasporti efficiente che permetta alle persone di muoversi liberamente a qualsiasi ora del giorno, non è possibile puntare ad un sistema economico fiorente. E Londra lo sa bene per diverse ragioni. La metropolitana di Londra è la più efficiente al mondo, a fronte dell’elevatissimo costo per gli utenti (un abbonamento mensile per le due zone centrali costa quando un abbonamento annuale per tutta Roma), reinveste tutti i suoi introiti nel costante sviluppo della rete e manutenzione dei mezzi. Ciononostante all’ora di punta si sta appiccicati come sardine e lo spazio minimo vitale ridotto a zero. Senza contare che le stazioni più frequentate, come quella di Oxford Circus, vengono chiuse a intervalli per non congestionare il sistema. E la frequenza dei treni è letteralmente ogni 45 secondi. E’ quindi ovvio che l’impianto dei trasporti esistenti non è più in grado di sostenere altre persone. Cross Rail dovrebbe in parte risolvere il problema. E’ un investimento da 20 miliardi di Sterline, il più grande in Europa per le infrastrutture, e punta a collegare in maniera iper veloce l’Est con l’Ovest di Londra, in pratica Canary Wharf (centro finanziario d’Europa) con Heathrow.

Il Garden Bridge è invece un progetto che per molti richiama il concetto di città del futuro ma che in realtà ne ha poco a fare. Si tratta di un progetto altrettanto colossale e che costerà alle casse pubbliche della capitale britannica oltre 20 miliardi di Sterline, cioè più del Cross Rail.

Un ponte giardino che collegherà le due sponde del Tamigi. Come mi spiega Andries Kruger, CEO di Ambigram Architects, uno studio di design londinese, il progetto del ponte è una pura follia monumento all’ego del sindaco conservatore Boris Johnson. Si tratta di un ponte che inizialmente doveva essere finanziato con fondi privati ma che sta invece andando nella direzione opposta. Inoltre collega due punti assolutamente inutili della città e sarà esclusivamente pedonale. «Una città come Londra – continua Kruger – deve investire tutto nella realizzazione di vie ciclabili più sicure. Abbiam ancora troppe morti di ciclisti sulle nostre strade». E infatti Londra sta ampliando l’autostrada urbana per le bici London’s Cycle SuperHighway con altri 25km di piste ciclabili cittadine ad un costo di oltre 200 milioni di Euro per le casse della città.

VISLAB E L’AUTO (ITALIANA) CHE SI GUIDA DA SOLA

Il progetto più innovativo per quanto riguarda i trasporti urbani arriva dall’italiana VisLab, fiore all’occhiello dell’Università di Parma acquistata a inizio Luglio dall’Americana Albarella per 30 milioni di euro. Il VisLab del professor Alberto Broggi ha sviluppato un’automobile in grado di guidarsi da sola prima che lo facesse Google.

Il futuro alla Martin MacFly non è poi così lontano, ma per il momento è ancora su gomma.

Simbolo dell’eccellenza italiana è anche Nextome startup di Bari che possiede una delle migliori tecnologie di navigazione al mondo. Nextome risolve il problema di spostarsi in maniera precisa in musei, aeroporti, centri commerciali, palazzi ed uffici, tutti elementi chiavi delle nostre città e ai quali la navigazione satellitare non arriva. Non per niente vengono costantemente invitati a tutti i principali concorsi di innovazione per le città del futuro di tutto il mondo.

DUE ITALIANE NELLA GESTIONE DEI SOLDI PER L’INNOVAZIONE

«Il problema in Italia non è la mancanza di eccellenze. Paradossalmente abbiamo un Paese con moltissimi Schumacher costretti a guidare delle utilitarie, mentre in Inghilterra danno le Ferrari anche a piloti di meno classe. Il risultato è che gli Schumacher italiani che vogliono guidare delle Ferrari devono venire in Inghilterra». A buttarla sull’automobilismo è Daniela Melandri che si occupa di far arrivare i fondi europei alle imprese inglesi che vogliono investire nell’innovazione ambientale e nelle future cities. Daniela lavora in team con Valeria Branciforti, un’altra eccellenza prestata all’estero, ed entrambi fanno parte del “Knowledge Transfer Network” (KTN), la rete dell’innovazione tecnologica del governo inglese, che copre trasversalmente tutte le aree di competenza pubblica e privata, nell’obiettivo di far crescere l’economia inglese e stimolare al massimo i processi innovativi.

Un lavoro del genere sarebbe molto probabilmente illegale in Italia, in quanto si basa sulle raccomandazioni che in Italia sono sinonimo di clientelismo. KTN è parte di Innovate UK, il board dell’innovazione che si occupa di gestire tutti i fondi, inclusi quelli europei, sotto un unico cappello. Di Innovate UK fanno parte anche le “Catapult” (come Catapult Future Cities) acceleratori finanziati in parte con soldi pubblici per che lavorano nel campo dell’innovazione a supporto di Startup.

In Italia il dialogo tra fondi europei e privati è affidato ad una miriade di compagnie private che non hanno minimamente il potere negoziale che ha invece un agenzia governativa come Innovate UK. Esistono inoltre i National Contact Point (NCP) presenti i tutti i paesi dell’UE sono un network destinato a facilitare l’accesso ai fondi Europei, ma che in Italia, come si vede nella mappa qui sotto, relativa agli esiti dei bandi 2014 su smart cities ha grandi margini di miglioramento nel risultato finale dell’accesso ai fondi europei.

Credits: EU, Energy Focus – Horizon 2020 Report 2015)

L’osservatorio sulle Smart Cities promosso da FORUM PA si occupa della condivisione delle migliori pratiche per quanto riguarda i comuni italiani che sono risultate in 4 miliardi di Euro investiti ed oltre 15 milioni di cittadini coinvolti. In effetti l’Italia è il primo paese in Europa per richieste (submissions) di fondi all’Europa quando ci sono dei bandi ma il problema sono i risultati, che spesso non arrivano a causa della mancanza di coordinazione tra i NCP.

Ad ogni modo, l’erba del vicino non è sempre la più verde: «ad esempio nel settore edilizia sostenibile, non direi che uno dei due paesi sia in assoluto più avanzato o di qualità migliore, c’è ancora molto lavoro da fare anche in UK». Racconta Valeria: «certamente c’è più apertura e pragmatismo su tematiche che in Italia sono affrontate ancora poco o quantomeno non sono supportate così tanto con bandi appositi (penso a tutto il filone di attività su Ageing Population, Long Term Care Revolution, Building Whole-Life Perfomance). Questi sono a mio avviso modi molto furbi di guardare alla tematica edilizia perché mirano a ottenere edifici e città migliori ma spostando il focus su tematiche sociali, ambientali ed economiche (in sostanza alla fine ottenendo multipli benefici). Credo siano messaggi forti e importanti che manifestano la volontà del governo di investire in questi ambiti avendoli riconosciuti come importanti».

NON SOLO COINCIDENZE

Ci tengo a sottolineare che ho incontrato Daniela e Valeria dopo aver fatto richiesta ad Innovate UK, ma il fatto che siano italiane è esclusivamente una coincidenza dovuta alla loro bravura in ciò che fanno. Paradossale quanto ironico che le due persone che portano materialmente soldi europei e gestiscono i fondi nazionali in GB siano italiane. Cosi come è una coincidenza che il più grande esperto al mondo in materia di future cities, Carlo Ratti, sia italiano, e anche Stefano Tresca sia italiano.

Ma forse non è una coincidenza che siano tutti fuori dall’Italia.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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