Cosa significa che Blomming ha superato i diecimila negozi di Makers

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Era il 2009 quando ho incontrato per la prima volta la Future Of Making Map, dell’Institute For The Future. Parlava di una trasformazione dell’economia in termini totalmente simili alla definizione del Web 2.0 che quattro anni prima Tim O’Reilly aveva sancito nel famoso paper “What is Web 2.0 – Design patterns and business models for the next generation of software”.

Nel 2005 O’Reilly diceva: “Web 2.0 is a set of trends — economic, social, and technology trends — that collectively form the basis for the next generation of the Internet: a more mature, distinctive medium characterized by user participation, openness, and network effects”.

Vista la capacità dirompente che negli anni successivi il modello del Web 2.0 aveva dimostrato, quando ho letto la definizione dell’Institute For The Future sono saltato sulla sedia:

Two future forces, one mostly social, one mostly technological, are intersecting to transform how goods, services, and experiences— the “stuff” of our world—will be designed, manufactured, and distributed over the next decade.

An emerging do-it-yourself culture of “makers” is boldly voiding warranties to tweak, hack, and customize the products they buy. And what they can’t purchase, they build from scratch. Meanwhile, flexible manufacturing technologies on the horizon will change fabrication from massive and centralized to lightweight and ad hoc. These trends sit atop a platform of grassroots economics — new market structures developing online that embody a shift from stores and sales to communities and connections”.

In quattro anni una nuova economia – anzi, per la precisione, un nuovo modello economico era emerso “dal basso”, dove con questo brutto termine si intende la capacità della Rete di auto-organizzarsi da iniziative sparse a micro-comunità a fenomeni sociali in grado di fare salti di scala, acquisendo all’improvviso accelerazioni esponenziali.

Stavolta, però, l’impatto non avrebbe riguardato un’industria come la musica, o un formato come l’enciclopedia, bensì il tessuto profondo delle relazioni economiche.

Il passaggio da “negozi e vendite” a “comunità e relazioni” descriveva perfettamente l’economia del futuro, un’economia sviluppata su un piano paritetico – peer to peer – tra persone che erano in un solo momento sia produttori, sia consumatori sia fonte stessa delle informazioni sui loro prodotti.

Lo stesso valore del prodotto era soggetto a una trasformazione radicale. La tecnologia questa volta disgrega, democratizza e consegna a chiunque il marketing dell’immaginario. A fine ‘900, infatti, abbiamo assistito al passaggio dal valore materiale degli oggetti, legato sostanzialmente alle esigenze e ai beni di prima necessità, al valore immateriale dell’immagine e della percezione di sé.

Le Nike: non sono scarpe bensì l’idea stessa dello sport.

Ma se questo era stato finora appannaggio solo delle grandi aziende con infiniti budget pubblicitari, ora con mezzi tecnologici semplicissimi chiunque è in grado di progettare una proposta di sé e dei propri lavori basati sul contrario dell’omologazione e distanti dal valore materiale.

Quel che conta non è il tessuto, la manifattura, ma la storia che c’è dietro, la persona, l’idea.

From product to stories, diceva la Future Of Making Map.

Quindi, nuovi strumenti (forza tecnologica), nuovi attori (forza sociale) e nuove esigenze (forza economica): c’erano tutti gli elementi perché si verificasse una innovazione disruptive, radicale. Ed è effettivamente successo.

In Italia era prestissimo, ma i segnali si vedevano nella capacità di far presa non solo degli strumenti ma dei principi della Rete. E quindi si trattava di differenze magari culturali ma non più di diffidenza. E la proposta di un tool pensato proprio con questi principi, adatto a un uso personale, per appassionati, per community, per micro-comunità, ha fatto presa.

A proposito di difficoltà culturali è interessante notare come la comunità più vivace in Italia non sia stata quella del Design, bensì quella dei Crafters, che va dall’artigiano moderno fino all’appassionata di Handmade.

Controintuitivo: i designer sono coloro che più di chiunque altro dovrebbe essere attenti ai processi produttivi, e non solo ai loro risultati. L’innovazione dovrebbe esserne il cuore.

Ma il designer italiano medio è, invece, calcificato sull ’immagine e su un’idea di creatività romantica: lui si considera il creatore dell’oggetto perché ne fa quattro schizzi a matita su un tovagliolo.

Niente di più distante dalle nuove tendenze della progettazione provenienti dagli Stati Uniti e dal Nord Europa che invece portano avanti una innovazione aperta verso tutto ciò che è “Made by hands”, per citare il titolo del libro di Mark Frauenfelder.

Detto questo, la nuova economia è comunque sorta, ovunque. Dalle nuove forme di scambio, al baratto, ai gruppi di acquisto, al social lending e il crowdfunding, senza dimenticare le nuove forme di moneta che portano modelli virtuali da videogioco nel mondo reale come i Sardex .

L’economia peer-to-peer è una realtà.

Parte di questo movimento è anche Blomming.Nell’aprile di quest’anno, quando ho partecipato al World Wide Rome, contavamo circa 6.000 negozi online. Molti erano iniziative individuali, di persone appassionate che cercavano di sviluppare un piccolo business o di arrotondare il lunario. Ora chiudiamo il mese di ottobre superando la significativa (per noi) milestone di 10.000 Shop, molti dei quali ora provenienti anche dall’estero o con un profilo business anche più elevato, come il Facebook Shop di Jeckerson. Segno di come anche le aziende di livello vogliano sperimentare forme innovative di relazione con la clientela.

In questa nuvola di operatori, con i loro clienti, accade ogni tipo di cosa: soprattutto, che chi vende in un negozio compri anche dal negozio a fianco; che chi vende prodotti finiti trovi anche chi gli vende i materiali; che il visitatore casuale diventi compratore perché si diverte con chi vende, non tanto per il cosa.

E’ un ecosistema. E’ un’economia. E non è più “del futuro”: è l’economia reale, oggi.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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