Cosa manca alla nostra Italia per essere competitiva? Tantissimo

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Questo è un lagnoso post di lamenti, negativo, pieno di critiche e senza uno straccio di analisi costruttiva; solo problemi, per di più visti da una personalissima prospettiva. Un post estivo, inosmma, di quelli che si fanno per tappare i buchi, che non avrebbe alcuna possibilità di essere pubblicato in altre stagioni e che anche in questa viene lasciato in fondo al cassetto, come ultima possibilità: qualcosa da scrivere perché viene facile quando non si hanno altre idee. Il piagnisteo, del resto, è lo sport nazionale ed io sono italiano, anzi italianissimo.

Alcuni giorni fa, un’amica mi ha chiesto di rispondere per iscritto alla seguente domanda: cosa manca all’ecosistema italiano per essere competitivo sul piano internazionale?

È il genere di domanda la cui risposta richiede un lungo e articolato ragionamento, che prevede che si indichino con chiarezza dei nodi da sciogliere, magari fornendo gli elementi per farlo.

Se uno, poi, deve rispondere per iscritto, si richiede facilità di esposizione, penna felice, chiarezza di idee. Infine, una domanda come questa richiede sempre che la risposta, per quanto critica, sia comunque improntata all’ottimismo, qualcosa del genere “questi sono i problemi, ma penso che ce la faremo perché…”.

Insomma una cosa complicata per chi, come me, ha idee poco chiare, penna poco facile ed ha appena ascoltato un paio di podcast dove si sentono dei presunti esperti di economia nostrani fare delle analisi basate su numeri che un professore USA presente in studio afferma essere fasulli per poi dimostrare, tablet alla mano ed in diretta, che sono fasulli e malgrado questo sembra che a nessuno importi della cosa (“non ci venga a fare la lezione” è il commento più gentile).

E tu, cara amica, mi vieni a chiedere cosa manca all’ecosistema italiano per essere competitivo sul piano internazionale?

Manca tanto, probabilmente tantissimo.

Manca uno stabile sistema educativo che premi il merito e che sia in linea con i tempi, senza rinunciare alla specificità italiana che per decenni l’ha reso all’avanguardia (la capacità di coniugare lo studio dei classici con quello delle scienze, delle tecniche e delle arti moderne dà la capacità di guardare al mondo con un’apertura che è difficile trovare nei sistemi iper-specialistici).

Manca la capacità di uscire dalle sabbie mobili dell’abbraccio mortale fra politica, imprenditoria e finanza, che fa sì che nel nostro Paese i capitali esistenti siano tenuti lontani dagli impieghi produttivi, e mancano manager e imprenditori indipendenti, lontani dalla logica dei sussidi, capaci di affrontare il mercato globale senza avere continuamente la testa rivolta al passato.

Manca il coraggio di fare, senza aspettare il patrocinio della politica.

Manca l’umiltà che serve a vedere il mondo per come è, senza dare in continuazione spiegazioni basate non sui fatti, ma su desideri e chiacchiere.

Manca la capacità di uscire dalla logica della contrapposizione a priori.

Manca una classe dirigente che abbia la dignità di fare onore al suo mandato: scegliere i migliori, e prendere decisioni rischiando e sapendo accettare le conseguenze. E con la schiena dritta.

Manca quel minimo senso del pudore che renda impraticabile la vita pubblica a chi sa di aver rubato, quel minimo senso di giustizia, che è ben diverso dal legalismo imperante, che renda tutti coscienti di appartenere ad un unico corpo dove non esistono “diritti acquisiti” che altri dovranno pagare.

E infine manca la voglia di mettere da parte chi continua a fare solo chiacchiere e a fare post lamentosi, senza proporre nulla di concreto.

AUGUSTO COPPOLA

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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