Commons, i big mondiali per 4 giorni con noi in Piemonte

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La continua crescita del movimento globale a tutela e rilancio dei commons ne mette sempre più in luce le molteplici risposte che può fornire a molti dei problemi odierni, e più complessivamente ne evidenzia un modello di sviluppo possibile e anzi auspicabile. Ciò riguarda anche la perdurante crisi economica, visto fra l’altro quanto sta accadendo in Grecia e le ampie ripercussioni sociali (oltre che sanitarie) che non tardano ad emergere. Come pure le diffuse spinte per la riconquista di spazi pubblici autenticamente democratici nel contesto urbano, altro elemento portante di un variegato ecosistema di esperienze sul campo basate sulla convivialità e la partecipazione, sulla qualità dei rapporti e non sulla quantità dell’accumulo.

I COMMONS IN ITALIA

Da qualche tempo questa rinascita a tutti gli effetti dei commons trova spazio ed espressione in molti contesti italiani, dando vita a situazioni stimolanti e incoraggianti per un futuro davvero diverso.

Tra queste va senz’altro citato il “Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani” (liberamente scaricabile online), adottato per primo dal Comune di Bologna poco più di un anno fa e man mano perfezionato e diversificato rispetto alle specificità locali di altri Comuni italiani che man mano lo vanno facendo proprio. Il punto è prendersi cura collettivamente di «spazi pubblici, spazi privati a uso pubblico, edifici pubblici, la promozione dell’innovazione sociale e dei servizi collaborativi, la promozione della creatività urbana, e l’innovazione digitale», come dettagliato sull’apposita pagina web della rete civica bolognese che ha dato il via all’iniziativa. Che a breve verrà affiancata da una specifica piattaforma online dedicata alle iniziative in loco, Co-Bologna, come anche quella analoga di Co-Palermo, dove si sta lavorando su un apposito strumento di politica pubblica, mentre sono già operative Co-Mantova e Co-Battipaglia.

«Un percorso avviato nel 2011 e che punta alla “città collaborativa”, con l’obiettivo finale di trasformare la governance urbana in chiave di governance collaborativa della città in quanto bene comune», spiega Christian Iaione (coordinatore del team di LabGov, all’interno della LUISS Guido Carli, che cura l’intera iniziativa). «Si tratta cioè di immaginare non soltanto nuove forme per la gestione degli asset urbani già esistenti ma anche di immaginare scenari futuri, per esempio, riguardo il piano urbanistico, lo sviluppo immobiliare, l’ambito economico o il welfare, in modo da iniettare così i principi di governance propri dei commons nei molteplici ambiti concreti che interessano la collettività».

LA TUTELA DEI BENI CONDIVISI

Pur senza nascondersi le ovvie difficoltà (burocratiche, logistiche, culturali), ne emerge dunque uno schema articolato all’insegna della massima interdisciplinarietà e collaborazione, centrato su un network dinamico in cui trovano posto tanto esperti e studiosi degli studi urbani quanto attivisti, politici e cittadini impegnati.

Un approccio che va trovando riscontro e interesse a livello internazionale, come conferma la tappa cruciale della prima conferenza mondiale prevista per il prossimo novembre sempre nel capoluogo emiliano: The city as a commons. È qui che si proveranno a definire e mettere a punto i meccanismi di base, man mano rifiniti rispetto alle esigenze locali, atti a generare il coinvolgimento paritario tra cittadinanza e amministrazione nella tutela di questi beni condivisi. L’evento vede come co-chair Christian Iaione e Sheila Foster (Fordham University School of Law, New York City), oltre a una varietà di ospiti internazionali e nazionali, mentre fino al 10 agosto è aperta la “call for papers”.

TUTTO IL MONDO IN PIEMONTE PER 4 GIORNI

A conferma della vivacità che anima attualmente il panorama italiano, per una volta anche grazie alla spinta delle stesse istituzioni pubbliche, arriva poi la prima edizione di Area, Festival Internazionale dei beni comuni, dal 9 al 12 luglio a Chieri (Torino). Al di là del nutrito programma con ospiti illustri (tra cui Caetano Veloso, Gilberto Gil, Vandana Shiva, Stefano Rodotà), l’evento si prefigge di avviare «la costruzione di una contro-narrazione capace finalmente di sostituirsi a quella dominante della cosiddetta scienza triste» e oltre a esplorare i vari aspetti artistici, scientifici e culturali legati ai commons, dedicherà molto spazio «agli strumenti attraverso cui nell’elaborazione di un nuovo modello politico le persone potranno essere chiamate a condividere scelte e responsabilità».

Importante anche ricordare che, oltre alla dimensione teorica globale, questa sembra l’occasione giusta per occuparsi concretamente di quegli «spazi lasciati decadere dalla crisi della produzione fordista, come per esempio l’Ex Cotonificio Tabasso (sempre a Chieri), chiuso da anni a causa dei processi di delocalizzazione e globalizzazione». Ciò grazie ai contributi incrociati di giuristi, notai ed esperti di Community Land Trust, puntando a possibili soluzioni capaci di legare per sempre spazi pubblici o privati a un uso coerente con le esigenze dei cittadini e con gli interessi delle generazioni future.

LA RINASCITA DEI COMMONS

E ciliegina sulla torta, ecco fresca di stampa la versione italiana dell’ultimo libro dell’esperto e studioso statunitense David Bollier, La rinascita dei Commons (Stampa Alternativa), il quale lo presenterà di persona durante l’evento di Chieri [disclaimer: traduzione a cura del sottoscritto]. Un testo importante perché, oltre a sintetizzare le maggiori riflessioni storico-teoriche sul tema, propone un’ampia panoramica sulle dinamiche e i progetti in atto per la tutela e l’affermazione dei commons oggi a rischio: acqua, terre, foreste, biodiversità̀, opere creative, informazione, software libero, spazi pubblici, culture indigene e molto altro.

Fra l’altro, il volume si concentra su un punto cruciale ma spesso sottovalutato nel contesto dei commons sfuggire quando tali commons vengono intesi come oggetti, spazi o situazioni statiche (anche per via dell’eccessivo ricorso alla traduzione italiana ‘beni comuni’), è che «i commons non sono soltanto delle risorse, bensì un insieme composto dalle risorse, dalla comunità di riferimento e da protocolli, valori e consuetudini da questa stabiliti per gestire tali risorse». Insomma, i commons vanno intesi più come verbo che come semplice sostantivo.

Un quadro complessivo dove non mancano certo difficoltà e ostacoli, forse primo fra tutta la necessità per queste pratiche e teorie di ottenere maggior visibilità nell’opinione pubblica e nel circolo ristretto dei leader mondiali, troppo spesso accecati dal paradigma dominante Stato-mercato per la soluzione degli odierni pressanti problemi economici e sociali, e quindi disattenti alle alternative possibili. È invece cruciale spingere un’innovazione a livello di normative e di governance che sia in sintonia con le pratiche condivise a livello locale.

Proprio quanto si propongono le iniziative nostrane fin qui descritte, portandoci così a condividere il prudente ma sano ottimismo di Ugo Mattei, voce nota e autorevole su queste tematiche oltre che vice-sindaco di Chieri (e motore del Festival di cui sopra), nella sua prefazione al libro di Bollier: «Il benicomunismo rivoluzionario non si limita a vagheggiare qualche riforma, fosse pure legislativa, per tutelare i beni comuni rispetto alla privatizzazione selvaggia, ma invoca invece una vera trasformazione paradigmatica. …Un rilancio della questione dei beni comuni potrebbe far ripartire il nostro cammino più presto di quanto i nostri detrattori sospettino».

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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Scritto da chef

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