Caro Ministro ci liberi dal paradosso del processo telematico che non funziona senza carta

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Caro Ministro della Giustizia,il nostro è stato, probabilmente, il primo Paese in Europa ad intuire che digitalizzare il rapporto tra cittadini ed amministrazione avrebbe potuto rappresentare il volano di una rivoluzione culturale, democratica ed economica senza precedenti nella storia della nostra Repubblica.

Forse ricorderà, infatti, che tra il 1990 ed il 2000, Parlamento e Governo vararono una serie di provvedimenti illuminati con i quali, nella sostanza, stabilivano che la nostra amministrazione avrebbe dovuto essere digitale by default e che la carta avrebbe dovuto rapidamente cedere il passo ai bit, in ogni genere di procedimento.E, forse, ricorderà anche che nel 2001 – ormai quasi quindici anni fa – abbiamo scritto, ancora una volta primi in Europa, le norme che avrebbero dovuto governare il processo civile telematico.

Eravamo convinti – e, credo, avessimo ragione – che la giustizia digitale sarebbe stata più efficiente, più imparziale e più veloce ovvero, in una parola, più giusta di quella di carta.

Poi, per almeno due lustri, il processo civile telematico è rimasto poco più di un embrione in provetta, un infinito esperimento da laboratorio, costato centinaia di milioni di euro e fiumi di inchiostro impiegati per scrivere decine di regole tecniche e provvedimenti di attuazione che lo hanno fatto e disfatto, prima ancora che emettesse il primo vagito, decine di volte, come se si trattasse dell’epica tela della fedele Penelope.

Proroga dopo proroga, la data di avvio del processo civile telematico è stata rinviata di anno in anno per oltre un decennio e non c’è stato Ministro che si sia seduto sulla poltrona sulla quale oggi siede Lei, che abbia saputo resistere alla tentazione di annunciarne, almeno una volta nel corso del suo mandato, il varo imminente.

Quindici anni dopo le prime regole sul processo civile telematico, nonostante i numeri e le statistiche raccontino che il digitale inizia a sbarcare nel pianeta giustizia, si sarebbe ipocrita nel dare per raggiunto un obiettivo che, nella realtà, è e rimane un’illusione lontana.Regole, tecnologie – forse poche e, purtroppo, datate – e buona volontà degli operatori del sistema giustizia non mancano ma non bastano a rendere digitale, per davvero, il processo civile che – dobbiamo dircelo con grande onestà intellettuale – senza carta ancora non funziona.

Tribunali e consigli dell’ordine degli avvocati, in mezza Italia, firmano protocolli d’intesa per aggirare le norme che vorrebbero che il deposito degli atti avvenisse solo in digitale e impegnare gli avvocati a depositare “copie di cortesia”, di carta.E talvolta, qualche Giudice, si è spinto a condannare avvocati e loro clienti al pagamento delle spese di giustizia o a dar loro torto, per esser stati scortesi, omettendo di depositare la copia di cortesia.

Chiunque frequenti le cancellerie dei Tribunali potrà confermarLe, caro Signor Ministro, che una delle frasi più ricorrenti che ci si sente ripetere è: “il Giudice gradirebbe una copia di carta dell’atto che ha spedito via posta elettronica”.E, naturalmente, non c’è avvocato – glielo scrivo da avvocato – che sia disposto a far torto ad un Giudice, non assecondando una tanto cortese richiesta.

Ma non basta perché, mentre programmi quinquennali, piani e strategie del suo Ministero raccontano da decenni che il processo civile telematico consentirebbe risparmi da decine di milioni di euro all’anno, per ora, il digitale, in Tribunale, costa più della carta.Per averne un’idea tangibile, concreta e di effetto, Le suggerisco di sfogliare il Decreto del Suo ministero che stabilisce che estrarre la copia del contenuto di un CD depositato in Tribunale da una controparte, costa, ad un avvocato – per ragioni a dir poco misteriose – oltre 300 euro, anche se il CD contiene solo un solo file, da poche centinaia di bytes.

Definire la stagione che stiamo vivendo “la volta buona del processo civile telematico”, insomma, sarebbe poco onesto ma guai a negare che, quindici anni dopo il suo debutto nel nostro Ordinamento, un pallido ed ancora insicuro antenato di quello che un giorno potrebbe davvero chiamarsi processo civile telematico, inizia a fare capolino nei Tribunali italiani, anche se non in tutti e non ovunque con eguale determinazione.Ed è per questo, Illustre Sig. Ministro, che l’altro giorno sono rimasto di stucco, basito, senza parole nell’apprendere che la Camera dei Deputati, in sede di conversione in legge del c.d. Decreto Legge “Giustizia per la crescita” [27 giugno 2015, n. 83] ha, di fatto, gettato le premesse per cancellare, con un colpo di spugna, quel poco che di buono è stato fatto negli ultimi quindici anni per dar vita al processo civile telematico.

Mi riferisco – come, forse, altri Le avranno segnalato prima di me – a quella manciata di caratteri con i quali si è inteso affidare, proprio a Lei, il compito di varare un Decreto con il quale stabilire le misure organizzative attraverso le quali, in deroga alle norme sul processo civile telematico, i nostri Tribunali dovranno continuare ad acquisire atti e documenti di carta e, soprattutto, a conservarli nei polverosi archivi delle cancellerie.

E’ come se la carta servisse per far funzionare il processo civile telematico. La carta in soccorso dei bit.

Senza rendersi conto che re-introdurre – come, di fatto, è stato sino a ieri – un “doppio binario”, un alternativa al digitale, significa ritardare ancora il momento dello switch-off, quello nel quale, finalmente, la giustizia – o, almeno, quella civile – diventerà digitale per davvero. Quella in atto è un’autentica restaurazione del “regno della carta” nei Tribunali, una restaurazione che precede addirittura la conclusione della rivoluzione digitale.

Il testo del disegno di legge di conversione del decreto legge è appena approdato al Senato ed in assenza di un Suo pronto intervento, la restaurazione della carta diverrà realtà ed in una manciata di secondi, il processo civile telematico sarà definitivamente condannato a divenire poco più di un’utopia che, probabilmente, continueremo ad inseguire ancora per molti lustri più per abitudine che per reale convinzione.Sarebbe un peccato, un autentico sacrilegio di speranze e di futuro.Significherebbe abdicare al sogno di una giustizia più giusta anche perché più digitale.

E’ il momento delle scelte.Si può decidere di far rotta verso il futuro o, al contrario, di fermarsi e fermare la giustizia nel passato, rallentandone il cambiamento con la carta, quasi fosse una zavorra tanto inutile quanto difficile da mollare.Tocca a Lei e, naturalmente, al Senato scegliere.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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Scritto da chef

innovaizone

Caro Ballmer, sono pazzi (e innovatori) questi romani

lifestyle

Caro Renzi, bisogna avere molto coraggio per cambiare tutto in Italia