Caro Alberto, ti scrivo a proposito dell’impresa sociale

lifestyle

Lo spunto me l’ha dato Alberto Cottica con il suo ultimo articolo- Ma era un po’ di tempo che ci stavo pensando e volevo provare a sintetizzare. Negli anni ho provato, al momento invano, a sviluppare un’idea che potrebbe benissimo rientrare nel concetto di impresa sociale (la trovate anche qui, un riconoscimento ulteriore al lavoro di Alberto: http://www.progettokublai.net/progetti/eco-card/). Poi ho collaborato in Thinkalize, sto fondando Prodevo, ho co-gestito una hackathon per i pazienti di artrite reumatoide, darò il mio contributo in un’associazione sempre in ambito medicale. Sono iscritto a Rena da quasi quattro anni, ho discusso di innovazione sociale con molti dei più importanti esponenti, anche nella mia parentesi ministeriale. Ciò detto, le mie considerazioni derivano massimamente dalla mia esperienza, comunque limitata, e quindi non hanno pretesa di esaustività.

L’efficacia

Se la social innovation avesse veramente un qualche impatto si diffonderebbe, nonostante tutto. Quindi provo a capire perché non abbia avuto ancora efficacia come approccio. Buona parte delle aziende con cui ho parlato non voleva sobbarcarsi i costi del “first mover”: perché poi, se non funziona hanno perso soldi – e la faccia, chi si è assunto la responsabilità di partire. Se funziona, vengono imitati. Non ci sono incentivi a innovare, in Italia la maggioranza delle aziende punta all’equilibrio, a non pestarsi troppo i piedi.

Provate a bussare a un’azienda qualunque (manifatturiera o di servizi) con un’idea innovativa, con chi parlate? A parte l’amico vostro, chi vi passano?

La televisione è identica da vent’anni, le banche si trovano improvvisamente sull’orlo del fallimento perché non sono state in grado di intercettare nessuna innovazione finanziaria e di scovare in anticipo i competitor che le stanno mettendo a dura prova.

Pochissime grandi aziende sono in grado di gestire innovazione al proprio interno: provate a bussare a un’azienda qualunque (manifatturiera o di servizi) con un’idea innovativa, con chi parlate? A parte l’amico vostro, chi vi passano? Il marketing, la ricerca e sviluppo (che vi odia, avendo l’esclusiva sull’innovazione), il product design? Di solito l’AD, quando ha bisogno di novità, telefona all’ex compagno bocconiano, partner di una grossa multinazionale della consulenza, si fa dare una ricetta qualunque strapagandola, ma almeno i suoi pari non avranno modo di eliminarlo; “ci siamo rivolti ai migliori” disse l’AD di Alitalia prima di fallire…

Il terzo settore è impermeabile

Ho provato a realizzare Eco Card con attori reputati del terzo settore. Uno non aveva voglia di investire sull’idea di un’altra persona (esterna al giro), altri hanno preteso da me un CV da benefattore-tipo che, purtroppo, non ho: non ho esperienze di cooperazione, non sono religioso, manco il chierichetto ho fatto! Scusate, sono cresciuto nella periferia milanese.

Poi va detto che di soldi non ne girano tanti, chi fa investimento etico non ha strumenti per il seed, e giustamente, sarebbe costoso e rischioso. D’altra parte i soldi non girano perché non sono amati, qualora un privato provasse a investire in un’attività sociale sarebbe visto con diffidenza, timore, i suoi interlocutori si domanderebbero “che ci guadagna?”. Buona parte delle persone con cui ho avuto a che fare ha sempre trattato i soldi come lo sterco del diavolo, salvo poi prenderli da multinazionali operanti in settori poco trasparenti. Io nel frattempo, per risparmiare, mangiavo aria. La politica non vede alcun vantaggio. Ogni progetto che toglie inaugurazioni, soldi da distribuire, dipendenze da costruire, è mal visto dalla maggioranza dei politici che usano il denaro pubblico per costruire consenso. Diciamo che tutto questo bisogno di innovazione sociale forse non c’è.

La disruption forse è un mito

Io, soprattutto, devo avere qualche limite nell’execution, o forse dovrei smettere di pensare a sistemi che per funzionare hanno bisogno di numeri elevati e molti partner. Se alcune pratiche non si diffondono… forse è perché i settori sono più complicati di quanto una persona inesperta potrebbe pensare. Quando ho iniziato a studiare Eco Card mi sono accorto delle difficoltà legate all’uso della fidelizzazione (vendere i prodotti che stanno per scadere, per esempio), al costo del calcolo dei punteggi, allo scarso appeal delle coalition (praticamente non uso sistemi di fidelizzazione). Nulla che non si possa risolvere, avendo un anno di stipendio pagato e un team a disposizione…

Chi ha il primo lavoro, quello che lo mantiene, si trova a ricavare spazio la sera e i week-end

Pochi hanno la fortuna, o la bravura, di essere innovatori sociali a tempo pieno. Per lo più sono dei fenomeni di scrittura bandi, arte in cui non eccello. Chi ha il primo lavoro, quello che lo mantiene, si trova a ricavare spazio la sera e i week-end. Non dovesse competere con gente che mira a distruggerlo H24, che è scettica, che è cinica, che è invidiosa, forse ce la potrebbe anche fare. Ma poi nel mezzo del cammin di nostra vita ci accorgiamo che non abbiamo abbastanza soldi da parte per comprare casa con la donna che vorremmo sposare, che forse abbiamo bisogno di lavorare di più per costruirci le nostre sicurezze, e, quindi, senza troppa difficoltà, ci scopriamo egoisti e salutiamo tutti. Il mondo andrà male anche senza il nostro contributo.

Che c’entrano Trump e la Brexit?

Dopo uno sfogo terapeutico provo ad affrontare nuovamente il pezzo di Alberto Cottica dando il mio contributo. Sono convinto che la social innovation possa funzionare in un mondo più intelligente dell’attuale, dove il denaro raggiunge più facilmente chi ne ha bisogno e non va tutto in edilizia, lusso e derivati, dove le aziende sono più reattive e in grado di ascoltare l’innovazione, dove i consumatori sono informati e pretendono maggiore rispetto delle condizioni dei lavoratori e dell’ambiente. Contro questo mondo speculano milioni di agenti di caos e ignoranza che approfittano fortemente sulla stupidità: sono le finte associazioni consumatori, gli avvocatucoli, gli esperti di borsa e denaro che ci raccontano la favola del signoraggio, sono i santoni, i guaritori, i pranoqualcosa, quelli che sono i depositari della vita sana, i complottari che fanno soldi con i banner, e i politici populisti, naturalmente.

Forse serve una soluzione politica, che consenta di difendere le persone dal lavoro, diventato totalizzante

La guerra per la diffusione dell’ignoranza ha dalla sua molti strumenti: la Rete, la cognizione umana, la scarsa pressione evolutiva, carichi da mille di distrazione, la precarizzazione del lavoro che sottrae energie di chi cerca di contrastarla, la calante capacità pubblica di formare i cittadini. Forse serve una soluzione politica, che consenta di difendere le persone dal lavoro, diventato totalizzante, di certo serve una soluzione pubblica, di una società che decide di cazzeggiare un po’ meno, premiare i più bravi, investire in cultura. Fatevi una risata, il futuro è cupo.

ANDREA DANIELLI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments

What do you think?

Scritto da chef

lifestyle

Qui a Londra tifo per l’Italia, ma so che nulla sarà più come prima

default featured image 3 1200x900 1

Cos’è un “progetto pazzo” e perché è la startup su cui investire