5 motivi che faranno del 2014 l’anno della sharing economy

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Inizio anno tempo di bilanci. Cosa è stato e cosa sarà per la sharing economy? Di questo si parlerà con Simone Cicero, Ivana Pais in occasione del primo International Collaboration Day, in un lunchtime hangout organizzato per il prossimo 16 gennaio, durante il quale presenteremo un breve report sui dati e gli eventi salienti del 2013, e risponderemo a domande e questioni poste dai partecipanti. Provo così, in questo post, a immaginare cosa sarà della sharing economy nel 2014, per dare qualche spunto in vista dell’appuntamento e per giocare anche io – almeno una volta – con le previsioni di inizio anno.

Primo. Sharing economy questa sconosciuta. Nel 2014 si parlerà sempre di più di sharing economy all’estero ma anche in Italia. Si continuerà a spiegare che cos’è, quali benefici porta, quali servizi comprende ma ci si soffermerà molto di più sul suo significato.

Sia nel senso generale del termine (implicazioni e opportunità) sia letterale.

La definizione di sharing economy non è chiara e condivisa. La questione è vecchia ma è tornata alla ribalta dopo un intervento di Rachel Botsman qualche mese fa, che però non ha soddisfatto tutti. La diatriba vede contrapposto chi considera vera e propria condivisione di beni solo in assenza di transazione economica, e chi invece ritiene questo un dettaglio di una visione molto più ampia. Se ne continuerà a parlare per tutto l’anno (e credo anche in quello a venire), perché l’economia collaborativa stessa, come ogni fenomeno nuovo, è destinata a modificarsi. Compariranno nuovi servizi che porranno nuovi interrogativi; altri cresceranno proponendo non solo un servizio di condivisione di beni ma aggregando nuove funzionalità (e in tal senso la piattaforma inizierà ad assumere sempre più il ruolo di nuovo mediatore), altri ancora, probabilmente, apriranno la loro community non solo ai privati ma anche a piccole e medie aziende (come fa già Airbnb con i bed&breakfast e ebay), facendo diventare sempre più difficile definire che cosa sia esattamente la sharing economy .

Secondo. Aziende e amministrazioni sempre più coinvolte. I più grandi brand del mondo abbracceranno la sharing economy. Lo scrive Forbes che lo indica come uno dei più promettenti trend del 2014. Succederà probabilmente negli USA (non credo in Italia), dove il mese scorso è stato lanciato una sorta di Comitato (CrowdCompanies) che riunisce le aziende che vogliono investire nella sharing economy. Sarà da capire se queste compagnie si avvicineranno ai servizi collaborativi ripresentando le categorie con cui hanno gestito i propri interessi fin qui, o saranno in grado di comprendere e far loro le trasformazioni in atto rinnovando così non solo la loro offerta ma soprattutto il modo in cui hanno fin qui considerato il mercato e i consumatori. Anche le amministrazioni inizieranno a valutare come beneficiare della sharing economy.

Alcune si stanno già muovendo, altre si apprestano a farlo in maniera strutturata (e fra queste si spera presto anche Milano).

Terzo. Dal digitale al territorio e ritorno. L’economia collaborativa è conosciuta soprattutto per essere un fenomeno che nasce nel mondo digitale, ma in realtà Ezio Manzini parla di servizi collaborativi già da più di un decennio. La tecnologia il più delle volte non ha fatto altro che diffondere e ampliare servizi che sul territorio esistevano già. Credo che nel prossimo anno, e in quelli a venire, ci sarà un ritorno verso il territorio che sarà visto da start up, ma anche da nuovi attori, come luogo di applicazione naturale dei concetti di condivisione e scambio. Le start up troveranno sul campo il loro bacino di utenza, mentre nasceranno nuovi progetti che promuoveranno servizi collaborativi sul territorio utilizzando la tecnologia non come piattaforme di business ma per diffondere, promuovere e mettere in rete con un pubblico più ampio le loro iniziative. Qualcuno lo sta già facendo egregiamente anche in Italia (Social street, Casa Netural).

Quarto. Start up che vanno, start up che arrivano: Anche le start up continueranno a crescere all’estero come in Italia, sia per numero che per utenti. Aumenteranno soprattutto quei servizi legati al turismo, alla mobilità, alla condivisione di spazi fisici oltre al crowdfunding (soprattutto l’equity). Molte piattaforme, tuttavia, inizieranno anche a scomparire. Negli Usa un trend normale, in Italia, sarà molto più visibile quest’anno. Se è vero, infatti, che la vita media di una start up è 3 anni e che in Italia i primi servizi collaborativi hanno iniziato a comparire fra il 2011 e il 2012, quest’anno dovrebbero essere evidenti i primi fallimenti. La maggior parte si arrenderà per le difficoltà di raggiungere quella massa critica che consente, quando c’è, di trovare il coraggio per investire più tempo e denaro.

Quinto. Nessuna grande novità in termini di normativa. Nel 2014 sarà sempre più evidente, all’estero come in Italia, l’urgenza di regolare i servizi collaborativi. Per tutto il 2013 abbiamo assistito a tentativi di bloccare servizi come Airbnb, Uber (l’ultimo in Francia), Lyft e via dicendo. Queste piattaforme continueranno a crescere e con loro anche le denunce delle lobby colpite. Se ne discuterà molto, qualche amministrazione, probabilmente, proverà a regolare i servizi ma non penso si arriverà a intervenire in maniera strutturata. Difficile, infatti, riuscire a fare un documento programmatico sulle normative che possono regolare i servizi collaborativi perché comprendono mercati differenti ciascuno con proprie leggi e peculiarità che spesso cambiano anche da regione a regione .

Nessun mega trend, quindi, nessuna rivelazione particolare se non che la sharing economy continuerà a crescere e crescendo inizierà ad assumere un volto differente e differenziato. Speriamo altrettanto attraente.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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