10 anni nel futuro per capire che la scuola nuova è già presente

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.. ti restano addosso, come fanno i bambini ad imparare le fiabe”. Me lo ha detto Chiara, una ragazzina di 14 anni che spiegava ad una blasonata delegazione che accompagnavo, come studiava. Facciamo un esperimento mentale: immaginiamo che ci sia tutto il resto, ma non ci sia la scuola media né il liceo. Niente, zero. Non ci sono.

Siamo nel mondo di adesso, anzi, meglio, fra dieci anni: c’è internet, ci sono le automobili, i computer, i tablet, i forni a microonde ma non c’è la scuola. Adesso prendiamo un gruppo di ragazzini e decidiamo che li vogliamo formare.

Inventiamo la scuola. Come la inventiamo ? Penna, calamaio e regolo calcolatore?Per chi non sa cosa sia un regolo calcolatore, questo è quello con cui mi sono diplomato io, accanto al mio tablet attuale.

Oggi non torneremmo al regolo calcolatore. E’ ovvio, ci sono i telefonini ed i tablet. E non torneremmo nemmeno al calamaio. E’ ovvio, ci sono le penne. Quando arrivano strumenti tecnologici, li si adotta. Non si pensa di tornare indietro solo per amore dei bei tempi andati.

Non torneremmo nemmeno alla calcolatrice. E’ ovvio, ci sono i telefonini ed i tablet. Abbiamo fatto scuola ai ragazzi usando la calcolatrice. Ma non senza dibattiti sulla loro utilità. Questi dispositivi perniciosi che rendevano stupidi gli studenti, che non sapevano più far di conto autonomamente, il cui uso prolungato aveva anche impatti negativi sullo sviluppo di capacità logiche e mnemoniche dei teneri virgulti.

Così si legge nell’archivio storico de La Stampa:

I mini-calcolatori sono presentì sul mercato in una vastissima gamma di modelli per il cui acquisto c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Con una spesa di tredicimila lire si può comprare un apparecchio di marca in grado di svolgere le quattro operazioni, ricavare percentuali e radici quadrate.Dopo un lungo periodo di ostracismo da parte degli insegnanti (la questione è tutt’ora controversa e non tutti sono disposti a tollerare l’uso in classe delle piccole calcolatrici), i «numeri facili», stanno, conquistando una massa sempre più larga di sostenitori. L’uso è semplicissimo, i risultati sono sempre esatti.C’è un solo inconveniente: l’uso prolungato del mini-computer può anche avere riflessi negativi sullo sviluppo delle capacità mnemoniche e logiche dei più giovani. Ci sono varie novità tecnico-didattiche che merita menzionare. L’evoluzione tecnologica, la necessità di un continuo aggiornamento, il bisogno di strutture sempre più idonee a prospettare l’insegnamento in una chiave moderna e ancorata alla realtà, pongono spesso i docenti di fronte a difficili problemi.

La calcolatrice c’è e ci sarà.

E allora, per non sbagliare, abbiamo la possibilità di verificare i conti fatti a mente (rectius, abbiamo il dovere, per non sbagliare; ci possiamo immaginare un grande analista che fa i conti a mente rischiando di sbagliare?).

Torniamo all’invenzione della scuola, oggi.

Assioma: internet c’è e ci sarà.

E allora come inventiamo la scuola, dato che internet c’è e ci sarà? I contenuti stanno là dentro e con un qualunque dispositivo, sempre ed ovunque, possiamo accedervi. Quando ricordiamo qualcosa, sempre e dovunque possiamo verificarla e non fidarci solo della nostra memoria:

Internet c’è e ci sarà

E allora, per non sbagliare, abbiamo la possibilità di verificare le affermazioni fatte ricordando a mente (qualche settimana fa il blasonato giornale di cui sopra sosteneva la tesi che internet rende stupidi, per questo lo cito).

1) Una prima conseguenza che dovremmo trarre è che possiamo verificare tutto e quindi possiamo, e in alcuni casi dobbiamo, verificare tutto.

Dobbiamo insegnare ai ragazzi ad essere curiosi, a verificare, non a pensare per sentito dire. “Lo pensi o lo sai ?” è uno dei miei refrain preferiti.

2) Una seconda conseguenza che dovremmo trarre è che dovremmo insegnare ai ragazzi a cercare efficacemente districandosi tra miliardi di fonti, a valutarle, a separare la farina dalla crusca, (anche conoscere diritti e doveri tra cui il copyright, i creative commons, ecc.)

Perché non si può dare alle chiacchere da bar lo stesso peso di una conversazione scientifica. Come non diamo al tabloid di second’ordine lo stesso peso che diamo a pubblicazioni scientifiche peer-reviewed.

Nella nostra scuola che stiamo inventando oggi ci sono anche i libri. Anche. Ci sono come legacy. Li abbiamo prodotti fino ad oggi, possiamo usarli assieme a tutto il resto.

Questo “anche” è rilevante.

Accediamo “anche” ai libri, per ottenere brani di conoscenza, ma abbiamo una fonte primaria, multimediale, in cui i contenuti sono atomici, non selezionati da qualcuno, serializzati e impacchettati.

Nella nostra scuola il docente assegna dei temi ai ragazzi e loro, separando farina dalla crusca, cercano tutto, verificano tutto, su base di singoli atomi (pezzi di unità didattiche), principalmente online ma anche su alcune “pagine” di “libri”.

3) Ecco allora la terza conseguenza: i contenuti sono atomici ed i “libri” (ebook) non sono più l’input del processo, ma l’output prodotto dai ragazzi come sintesi della conoscenza ricercata ed appresa.

E non possiamo dimenticare che il digitale è il regno della condivisione, che consente di operare sempre e dovunque, abilitando la azienda estesa. Fuori dalla scuola i contatti tra i ragazzi e con i docenti, oltre l’orario scolastico, erano impossibili.

Ma online, invece, è possibile continuare a fare come a scuola.

4) E la quarta conseguenza è che la scuola non è più confinata ma è una scuola estesa. I ragazzi collaborano nel cloud, interagendo su internet tra loro e con i docenti, anche oltre i muri e gli orari scolastici. Come in ogni altro settore, il digitale è efficace non quando si digitalizzano singoli passaggi lasciando inalterato il processo, ma quando si approfitta delle caratteristiche di base del digitale per rivedere il processo rendendolo più efficiente ed efficace.

Ciò che ho descritto come possibilità offerta dalle tecnologie (guai a chiamarle “nuove”) non è una revisione della forma come si esegue un anello del processo, ma una revisione del processo, della metodologia didattica.

Una didattica che smette di essere push e diventa pull.

Ovviamente non pretendo suggerire che tutte le scuole dovrebbero diventare così, oggi. ma penso che questa sia la linea giusta (che poi è quella che propone il Centro Studi Impara Digitale).

Scuole così ci sono, e sono sempre più numerose. Svolgono i programmi ministeriali in forma innovativa e ai ragazzi, in questo modo, le conoscenze restano addosso, come quando imparavano fiabe.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it
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Scritto da chef

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La mia Barbie è differente

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Sono Luciano Lenzini e 30 anni fa ho portato Internet in Italia